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È stata, quest’anno, la mia terza Berlinale e come le altre edizioni, mi sono sbattuto tra code per i biglietti, cinema ai capi opposti della città, e Brezel mangiate al volo.
La media dei film che ho visto è stata altissima e si mescolano nella testa questi film in un’unica pellicola. Film in cui l’immagine e il (non) dialogo sono i protagonisti, piuttosto che i soliti, saturati, effetti speciali o le musiche imponenti che dettano l’emozione.
Una Berlinale quest’anno un po’ speciale, perché due film italiani, Cesare deve Morire e Diaz, hanno vinto dei premi importantissimi, l’orso d’oro e il secondo premio del pubblico della sezione panorama.
Tra tutti quelli che io sono riuscito a vedere, Hemel e My Brother The Devil i migliori. Il primo, un film olandese, “sessualmente esplicito”, ma delicato, racconta la storia di un padre e una figlia; il secondo, My Brother The Devil, di cui ho già scritto qui, è una magnifica opera prima di cui sentiremo parlare.
A poche ore dalla conclusione ufficiale, la Berlinale mi manca già. Mi mancano i giorni di cinema, il silenzio e il buio della sala prima dell’inizio del film, la sigla un po’ anni ’80, gli applausi dopo i titoli di coda, le sessioni Q&A con il regista e gli attori, spesso personaggi strambi e irresistibili.
Questa sera, alla conclusione della #miaBerlinale, dopo aver visto Un Mundo Secreto, ho compilato un modulo: chissà che l’anno prossimo non riesca a far parte della giuria.