Qualsiasi napoletano avrà sentito qualcuno, almeno una volta nella vita, appellare con il termine “Sarchiapone” chi si ritiene essere goffo e credulone. Tuttavia, non tutti conoscono le reali origini di tale espressione che sembrerebbero risalire addirittura al 1600 circa.
Il termine “Sarchiapone” viene oggi utilizzato per indicare non soltanto chi é goffo, ma anche chi si dimostra particolarmente sciocco e, in riferimento alle caratteristiche fisiche, una persona parecchio corpulenta. La sua etimologia deriverebbe infatti dal greco sarx+poiòs che, traducendosi letteralmente come “fatto di carne”, si rivelerebbe particolarmente indicato nell’appellare qualcuno di sola carne senza cervello.
Il termine, nato come aggettivo qualificativo, ha finito col tempo per trasformarsi in un nome proprio, sebbene limitato al solo contesto teatrale. Anche in questo caso va a denotare personaggi caratterizzati da una fisicità abbondante e da una limitata acutezza mentale.
Sebbene il termine compaia per la prima volta nel “Cunto de li cunti” di Giambattista Basile, datato intorno al 1634-36, esso diventa famoso solo nel 1958 grazie a una celebre scenetta di Walter Chiari e Carlo Campanini. I due si trovano nell’affollata carrozza di un treno e Companini inizia ad armeggiare con una gabbietta coperta da un telo, sostenendo che all’interno vi sia un sarchiapone americano. Walter Chiari, fingendo di sapere cosa fosse, inizia una conversazione con Campanini in cui elenca dettagliate caratteristiche dell’animale sperando di beccarne qualcuna a caso. Nel corso della conversazione, tuttavia, tra una smentita e una nuova ipotesi, le caratteristiche dell’animale si fanno sempre più spaventose al punto tale da terrorizzare tutti i passeggeri e indurli a cambiare carrozza. Quando, rimasti ormai soli, Chiari chiede a Campanini di poter finalmente vedere l’animale, questi gli confessa che si tratta di un animale inventato che usa per poter sfollare lo scompartimento e viaggiare in piena tranquillità.
Proprio per questo motivo il termine “sarchiapone” divenne per qualche tempo, nell’uso comune, anche un modo per indicare qualcuno che furbescamente tenta di parlare con assoluta convinzione di cose che in realtà non conosce affatto.
Se Walter Chiari ha reso celebre il termine sarchiapone con la scenetta nel vagone di un treno, non è da meno Antonio De Curtis che nella raccolta di poesie ‘A Livella ne ha inserita una intitolata proprio “Sarchiapone e Ludovico“. Essa narra la triste storia di Sarchiapone, un cavallo purosangue che, ormai vecchio e non più utilizzabile come cavallo da calesse, viene svenduto per poche monete a un carrettiere. Nella stalla del suo nuovo padrone Sarchiapone incontra Ludovico, un asinello altrettanto vecchio che gli apre gli occhi sulla malvagità umana distruggendo le vane speranze di Sarchiapone di poter avere una seconda chance. Il cavallo, un giorno, ormai conscio che il suo passato di nobile animale non tornerà più si getta in un burrone per porre fine alle sue sofferenze.