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Rammento bene, come fosse ieri, la reazione che ebbi all’annuncio di Marco Pannella di mettere Tony Blair, con Loris Fortuna e Luis Zapatero, tra gli ispiratori del progetto liberalsocialista della Rosa nel Pugno. Era il 2005 ed ero appena stato nominato alla Direzione nazionale di Radicali italiani. Feci notare, poco ascoltato (pensai fosse normale essendo l’ultimo arrivato, poi ho capito che non avevamo dizionario comune), che Blair non era liberale e non era socialista, bastava leggere i testi dei suoi discorsi. Niente da fare, i radicali risentivano ancora del lungo feeling con gli esportatori di democrazia che avevano creduto fossero esclusivamente al servizio del Tribunale penale internazionale: solo molto tempo dopo, nel 2008, Pannella avrebbe preso a rinfacciare a Blair di aver attaccato l’Iraq nel 2003, perché il bestione è sempre assai in anticipo o assai in ritardo.In quel momento, nel 2005, Blair era perfetto e welfare-to-work sembrava ai radicali la formula magica per conciliare libertà del mercato e tutela dei deboli, efficienza economica e giustizia sociale, sicché uno di loro – capezzoniano di ferro da sempre (prima, durante e dopo l’uscita di Daniele Capezzone da Radicali italiani) – cercò di fugare le mie perplessità con uno stringente: “Dai, Tony è figo”. Non ci riuscì, ma fu lo stesso Fortuna-Blair-Zapatero.
Prima, durante e dopo di allora, almeno a casa mia, si è sempre scritto Blair e pronunciato bleah. La sua recente conversione al cattolicesimo non c’entra niente, anzi, il fatto che abbia aspettato la fine del mandato per convertirsi è forse la sola cosa che attenua il mio giudizio negativo. Il fatto è che la via di Blair non è mai stata tra liberalismo e socialismo, ma sostanzialmente contro entrambi, proprio com’è per la dottrina sociale della Chiesa, che solo oggi Blair ha il coraggio di dichiarare d’aver sempre avuto a modello. Il liberal aggredito dalla realtà, il socialismo temperato nel New Labour, l’“idealismo pragmatico”, un nuovo comunitarismo – quante cazzate sono state dette su Blair, mentre bastava chiedersi il perché di tutte quelle coccole che gli riservavano certi ciellini, quando ancora era a Downing Street.Mentre a Pannella è diventato antipatico, Blair rimane simpaticissimo al capezzoniano di ferro: dal suo blog ci regala stralci sempre ad hoc di A Journey (Rizzoli, 2010) in un’apposita rubrica (Tony, ci manchi). A proposito di libertà di informazione, che è tema riproposto dalle cronache di questi giorni, la perla blairiana che ci viene offerta è questa:
“Freedom of Information, libertà d’informazione. Tre parole innocue. Le guardo mentre le scrivo, e mi viene voglia di scrollare la testa finché mi si stacca dal collo. Idiota. Ingenuo, sciocco e irresponsabile. Non esiste una definizione di stupidità che, per quanto vivida, sia adeguata. Il solo pensiero mi fa fremere di rabbia... Avevamo approvato quella legge subito dopo aver preso il potere. Una volta compresa l’enormità dell’errore, cominciai a dire a ogni funzionario pubblico: come avete potuto, sapendo quel che sapevate, permetterci di fare una cosa così dannosa per un governo assennato? Forse alcuni lo troveranno scioccante. Penserete che io sia un altro dei «soliti» politici che vuole un governo segreto, vuole nascondere i riprovevoli misfatti dei politici e privare il «popolo» del diritto di sapere cosa viene fatto in suo nome. La verità è che il Freedom of Information Act non viene invocato quasi mai dal «popolo», bensì dai giornalisti. Per i leader politici è come dire a un tizio che ti prende a bastonate in testa: «Ehi, prova con questa», e porgergli una mazza. Le informazioni vengono cercate non perché il giornalista sia curioso di appurare i fatti e divulgarli per mettere al corrente il «popolo». Vengono usate come armi. Un’altra ragione, assai più importante, per cui si tratta di una legge pericolosa è il fatto che i governi, come qualsiasi altra organizzazione, devono essere in grado di ponderare, discutere e decidere con un livello ragionevole di riservatezza”.
Nel Regno Unito il Freedom of Information Act è del 2000, negli Usa è del 1966. Qui, 5 anni dopo – 30 anni prima che Blair lo volesse e 40 anni prima che si dichiarasse pentito – la Corte Suprema così ne motivava la funzione: “Nel Primo Emendamento i Padri Fondatori hanno dato alla libera stampa la protezione che essa deve avere per realizzare il suo essenziale ruolo nella nostra democrazia. La stampa doveva servire i governati, non i governanti. Il potere del Governo di censurare la stampa fu abolito affinché la stampa rimanesse per sempre libera di censurare il Governo. La stampa fu protetta affinché potesse rivelare i segreti del governo ed informare il popolo. Solo una stampa libera ed indomita può effettivamente svelare gli inganni del governo”. E qui, come è evidente, il «popolo» non è messo tra virgolette.
Diverso modo di concepire il popolo, così potremmo concludere. Ma potremmo anche dire: ammesso e non concesso che la democrazia sia un’invenzione cristiana, i Padri Fondatori e la Corte Suprema degli Stati Uniti hanno etica protestante, Blair ha etica cattolica, precisamente gesuitica. La ragion di stato, anche e non solo nella secretazione delle pratiche di governo, diventa teoria nel 1589 grazie al gesuita Giovanni Botero, fulgente campione della Controriforma. Cristo avrà detto che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, ma col mandato apostolico li ha divisi in pecore e pastori, e nel gregge ci sono i governati e i governanti: i poveri di spirito non devono essere turbati dalla pratica di può essere costretto a usare il male per ottenere il bene, le menti illuminate devono caricarsi di questa responsabilità e la Chiesa li conforta e li consiglia. Se sei un governante cristiano e hai un gesuita per mediatore tra te e Dio, ti è consentito ingannare il popolo. E se il popolo non lo tollera, gli dai quello che si merita: le virgolette.
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