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Sì, siamo femministe. Ecco perché.

Da Femminileplurale

Questa è  la prima parte della relazione che abbiamo tenuto al convegno Corpi e ruoli di genere tra stereotipi e realtà.

 

Le nuove vie del femminismo

Sì, siamo femministe. Ecco perché.
Che il femminismo abbia ancora un senso è un’idea che, negli ultimi tempi, ha trovato nuovi spunti. Non ci sono però idee chiare su cosa occorra fare, quali siano le sfide più impellenti, come dovrebbe rinnovarsi l’idea stessa di una rivendicazione di genere all’interno della società attuale.

Molti diritti sono stati acquisiti, cosa che farebbe pensare che non ci sia ancora molto per cui lottare. Ma non è così. E non lo è in un duplice senso, duplicità che rivela come i piani su cui occorre ancora lavorare siano due. Il primo coincide con la rivendicazione più strettamente giuridica, e che quindi ha a che fare con i diritti. Molto spesso si pensa che, su questo piano, le donne abbiano raggiunto la parità e che quindi non ci sia altro da rivendicare. Ma non è così: da un lato infatti un diritto acquisito una volta non è dato per sempre. Basti pensare al tema dell’aborto e a come spesso venga messo ancora oggi in discussione. Dall’altro lato molti di questi diritti aquisiti si collocano sul piano della pura formalità, formalità che è diventata tanto più evidente quanto più il mercato del lavoro si è modificato in modo da rendere nulli quei diritti legati ad esempio alla maternità e quindi alla possibilità, per una donna, di conciliare il lavoro e la possibilità di avere un figlio.

Il femminismo quindi ha ancora molto da fare sul piano strettamente giuridico. È su questo piano che si rendono ancora necessari quei metodi di lotta propri del “vecchio” femminismo, manifestazioni, rivendicazioni politiche all’interno dei partiti, spinta ad una maggiore rappresentanza. Ciò che è venuto a mancare a mio avviso, nelle manifestazioni del 13 febbraio, è proprio l’idea di ciò per cui si stava lottando. Se si vuole ottenere qualcosa occorre chiedere qualcosa. Da questo punto di vista manifestare ha ancora un senso. Nel momento in cui devo rivendicare l’acquisizione di diritti, fare precise richieste giuridiche, rivolte a coloro che ci rappresentano, la piazza ha ancora un senso. Questo senso però si gioca tutto sulla possibilità che in quelle occasioni vengano lanciati messaggi chiari con obiettivi precisi: paternità obbligatoria, costruzione di asili nido per renderli fruibili per tutti.

Ma il femminismo di oggi non può agire solo su questo piano. Si vede infatti come la discriminazione delle donne non si giochi più solo sul piano della mancata applicazione dell’uguaglianza formale e giuridica, ma anche su quello meno immediatamente evidente della rappresentazione della figura femminile. Se infatti la discriminazione agisce sul piano della diffusione di modelli dannosi, sull’utilizzo dei massmedia per assoggettare le donne all’interno di stereotipi di comportamento che ne minano la libertà, allora il piano strettamente giuridico non basta più. Si tratta qui della necessità di un’azione a livello di cultura, di immaginario e di rappresentazione. Il lavoro a questo livello appare un momento davvero imprescindibile. Se infatti una volta il problema era garantire alla donna il diritto di uscire di casa, di votare, di lavorare, di abortire o divorziare, cioè garantirne un posto sulla scena pubblica ora il problema è il modo in cui la donna sia dipinta e immaginata all’interno di questa stessa sfera. Una volta che la donna si è conquistata questo spazio, il modo migliore per limitarne la sfera di azione è stato quello di assoggettarla proprio in quanto agente sulla sfera pubblica. Di qui gli stereotipi sulla bellezza, sulla magrezza, sulla donna-oggetto. È proprio a questo livello che diventa necessario fare un lavoro culturale ed educativo, un lavoro il cui scopo sia da un lato quello di restituire alla donna un ruolo all’interno della dimensione pubblica, dall’altro quello di far sì che le donne prendano consapevolezza delle proprie capacità, della propria forza politica, di una coscienza più libera del proprio corpo e quindi di se stesse.


 


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