Magazine Diario personale

Siamo romantici

Da Larvotto

(modalità romanticismo on)

Siamo romantici

L’appuntamento era davanti al caffè Zucca, il sole stava calando, concedendo un attimo di tregua dopo una giornata davvero caldissima e, mentre il duomo iniziava ad assumere quella colorazione vicina all’arancione che lo faceva sembrava ancora più maestoso, il mio ragazzo è arrivato all’appuntamento. Sembrava la scena di un film. Bello.

Complice una timida brezza che solleticava la pelle sudata, abbiamo deciso di fare una passeggiata ed andare a mangiare una crêpe alla Creperia Vecchia Brera, il locale del nostro primo appuntamento.
Poi, con la pancia piena e con lo spirito alleggerito da una buona birra, abbiamo deciso di passeggiare un po’ per goderci un inaspettato fresco.

Tra i tanti locali che amo di Milano, uno dei miei preferiti è il Viel in viale Abruzzi, hanno i migliori frullati che io abbia mai bevuto e, visto che mi era rimasta la voglia di qualcosa di dolce, abbiamo deciso di farci un giro.

Che bella Milano di sera, un attimo sei in mezzo al frastuono, poi giri l’angolo e ti ritrovi avvolto dal silenzio e quasi non ti sembra nemmeno la stessa città, perché ti ritrovi in strade dove non c’è niente, ed a volte questa cosa può rivelarsi pericolosa.

Infatti…
Eravamo da poco usciti dal locale quando, all’improvviso, ho sentito “quella sensazione” crescere in me e così, cercando di sorridere, ho guardato il mio ragazzo e gli ho chiesto “andiamo a casa?”.
La notte era ancora giovane e fuori si stava benissimo, così mi ha detto “ma non vuoi fare un’altro giretto? Guarda che bella serata!”.

A quel punto ho iniziato a perdere il controllo, la mia sudorazione aumentava in maniera assurda e, sempre cercando di restare sorridente, ho continuato ad insistere per tornare a casa.

(modalità romanticismo off)

Ma c’è qualcosa che non va?” mi ha chiesto preoccupato.
Ed io, oramai completamente fuori controllo e con la vista annebbiata dai crampi, ho distrutto tutto il romanticismo accumulato durante la serata con un “devo andare in bagno. Su-bi-to!”.

Il mio “subito” è stato così convincente che, il film smielato di pochi minuti prima, ha lasciato il posto ad un film poliziesco, quelle cose cariche di tensione, tipo che c’è una bomba da innescare e tutti iniziano a correre come pazzi, una corsa contro il tempo per evitare la terribile esplosione.
E sabato sera la bomba ero io.

Avevo smesso di parlare ed ero entrato in quella fase di concentrazione che, al confronto, un monaco tibetano è un cubista di Riccione; ogni mio movimento era calcolato, i passi non erano mai troppo lunghi, le scale venivano fatte con attenzione e, per quanto mi era possibile evitavo di sedermi.
Eravamo a Loreto e circa 40 minuti di viaggio mi separavano dal cesso di casa.
A questo punto immaginate una musica avvincente tipo Hawaii 5-0, delle scene cariche di tensione tipo il salto sulla metropolitana, il recupero della macchina con uno stile di guida tipo il film Speed, dove non si poteva mai scendere sotto ad una certa velocità, il mio ragazzo che mi scarica davanti a casa mentre lui va a cercare di parcheggiare, ed infine la mia corsa a chiappe di marmo verso il palazzo.

Gli ultimi minuti sono stati terribili, ho iniziato a slacciarmi i pantaloni in ascensore, ho conficcato la chiave nella toppa ed ho aperto la porta in meno di un secondo, mi sono lanciato verso il bagno con un salto che sembravo Sandokan e sono atterrato sulla tazza 0,1 secondi prima dell’esplosione.
Poi, il buio.

Sono rimasto in uno stato tra la vita e la morte per almeno 15 minuti e, quando mi sono ripreso, ho usato le ultime forze che mi erano rimaste per andare a letto, con buona pace del romanticismo.

Sono stati momenti davvero terribili.
Cazzo, c’aveva ragione mia nonna “quando il culo smette di fischiare è arrivato il momento di cagare”.


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