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Il 34% di share è comunque un ottimo risultato. Fatto poi da un prodotto di qualità non è affatto un male per la televisione italiana, soprattutto quella pubblica. Nel triste panorama di fiction agiografiche se non proprio apologetiche, sentimentaloidi e nazional-popolari, Il commissario Montalbano spicca senza dubbio. Ammetto di essere forse poco imparziale: le storie di Andrea Camilleri mi piacciono, Luca Zingaretti ha saputo calarsi bene nella parte dell'eroe di Vigàta (mi permetto di accentare la "a" perché così riporta la denominazione ufficiale del comune di Porto Empedocle che nel 2003 ha aggiunto al suo nome quello della località fittizia di Camilleri, ndr) e poi soprattutto è sempre un bel piacere simil-nostalgico vedere i miei luoghi così belli e scenografici a far da sfondo alle vicende di Montalbano.
Il 34% di share è quanto ha fatto segnare il primo episodio della nuova serie, "Il sorriso di Angelica", andato in onda su Rai 1 lunedì 15 aprile. Eppure non sono l'unico a dire che qualcosa non mi ha convinto. Anche i più accreditati critici televisivi hanno espresso perplessità. Non ho le stesse competenze, ma avendo letto il libro omonimo ed essendo affezionato a quelle storie, ammetto che non mi ha fatto impazzire. Il finale ha perso qualcosa rispetto all'originale e alcuni particolari della storia sono scomparsi. Per carità, non è così assurdo che nella riduzione cinematografica-televisiva qualcosa possa cambiare.
Non si accenna alle stranezze architettoniche della via in cui abita l'ariostesca Angelica Cosulich (in tv era Margareth Madè, su questo non mi permetto di criticare...): casa sua è a forma di cono gelato, me lo ricordo bene dal romanzo. La lettera anonima mandata al questore viene inoltrata anche alla redazione di Televigata, la concorrente della Retelibera dell'amico di Salvo, Nicolò Zito. Ma queste sono pedanterie anche un po' sciocche.
Però una lacuna mi ha colpito molto, anche perché rende il finale un po' zoppicante. Tra le documentazioni nella cassaforte del suicida Pirrera, che attesterebbero la sua attività di strozzino, nella fiction non si fa parola – e non capisco ancora se sia una scelta voluta o casuale – di «due filmini in super otto. E alcune fotografie. Quando le sue vittime non avevano più soldi, esigeva pagamenti in natura. I filmini lo mostrano in azione con due bambine, una di sette e l'altra di nove anni» (cito testualmente, pag. 248 del romanzo). L'argomento è serio e scabroso, ma altre volte è stato accennato in episodi e storie di Montalbano.
L'ho notato subito, ma soprattutto questa cosa mi ha fatto riflettere perché curiosamente negli stessi giorni nelle edicole il commissario Montalbano si stava proprio rivolgendo a un pubblico verosimilmente più giovane. Dico verosimilmente perché in realtà pure io mi sono fiondato a comprare il numero 2994 di... Topolino! E così Montalbano è diventato Topalbano, nella storia "La promessa del gatto" ambientata a Vigatta, con Topolino che, in vacanza in Sicilia, incontra lo scontroso commissario in versione topesca. Posso dirlo? Mi è piaciuta di più la storia su Topolino della fiction.
[Certo, anche qui massima attenzione: sia Topolino e Minnie che Tobalbano e Lidia dormono in stanze separate...]
Ho cominciato a leggere Topolino nell'estate 1987 (ricordo che una storia parlava di buco dell'ozono) e la mia infanzia è stata accompagnata dalla lettura delle storie Disney. Anche se io preferisco i paperi (quelli maldestri). Ma un bell'esperimento come quello di Topalbano va davvero oltre la mia imparzialità.
Per la prima volta Camilleri ha ceduto alle proposte di trasporre Montalbano su fumetto. Lo scrittore fa anche un cameo: un personaggio del racconto, il proprietario della pensione Patò (citazione camilleriana), è disegnato pensando proprio a lui. Una storia-evento, con tanto di interviste a Camilleri, a Zingaretti, a sceneggiatori e disegnatori. E lì sta il trucco, il segreto, il perché di tanta qualità, anche su fumetto: i disegni sono del grandissimo Giorgio Cavazzano, che ha saputo restituire sulla carta un'atmosfera da noir, quasi cinematografica davvero. I colori, i toni, le luci, i volti. Tutto perfetto, anche i dialoghi con azzeccate incursioni nel dialetto. E i nomi dei personaggi valgono da soli la spesa: Catarella è Quaquarella!!! A dimostrazione che si tratta di un prodotto "serio", i mafiosetti Facciesantu e Prorunasu portano i nomi dei briganti della commedia "Rinaldo in campo": nel 1961 si chiamarono così in scena Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
Nun babbiate e arristati cà unni siti! (Topolino, pag. 48)
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