Siamo tutti Keynesiani?

Creato il 08 settembre 2014 da Keynesblog @keynesblog

"We are all Keynesian now" (siamo tutti keynesiani adesso). La frase attribuita dal Time a Milton Friedman è tornata ricorrente a partire dalla crisi del 2008, quando, volenti o nolenti, economisti e politici liberisti hanno dovuto accettare l'idea che lo Stato tornasse a ficcare il naso nell'economia. Con la dottrina dell'austerità espansiva concepita da Alberto Alesina e adottata come politica economica ufficiale dall'Unione europea, le cose sembravano tornate al loro posto. Ma ora che il fallimento di quella teoria è troppo evidente per essere nascosto, nuove conversioni si sono affacciate nel dibattito economico e politico.

Il cambio di rotta più sorprendete e per certi versi più radicale è quello di Luigi Zingales, notissimo economista della scuola di Chicago. Ecco cosa scrive sull'Espresso del 28 agosto:

Aprendo la porta per un possibile compromesso politico, Draghi ha detto che i vincoli di bilancio potrebbero essere allentati per quei paesi dell'Europa del Sud che aumentassero la flessibilità del lavoro. [...] Per alcuni è solo sinonimo di un taglio dei salari. [...] Io non penso che sia quello che Draghi ha in mente. Proprio a Jackson Hole, il governatore della Banca Centrale giapponese ha auspicato l'esatto opposto. Lamentando l'eccesso di flessibilità al ribasso dei salari giapponesi, ha chiesto una mano visibile che aiuti ad aumentare i salari. Senza un aumento dei salari, la domanda interna non può crescere, le imprese di conseguenza non sentono il bisogno di investire, e il paese stenta ad uscire dalla deflazione.
Non solo puntare alla riduzione dei salari può influire negativamente sulla domanda aggregata, ma, paradossalmente, ha un effetto ancora più devastante sulla flessibilità vera, ovvero la capacità di riqualificare e riallocare la forza lavoro.

Il ragionamento del governatore della Bank of Japan, sposato da Zingales, è esattamente quello di Keynes. Se da un lato il taglio dei salari abbassa i costi, dall'altra però riduce anche la domanda aggregata e quindi gli effetti su produzione e occupazione sono (se si è fortunati) nulli, ma possono persino essere negativi se si innesca una spirale deflazionistica. La teoria dominante, che ritroviamo quasi in ogni libro di economia, spiega al contrario che la disoccupazione è un effetto del mancato aggiustamento verso il basso dei salari e che essa non esisterebbe se i lavoratori accettassero la flessibilità salariale.


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