Il 9 maggio di quest’anno, tra la folla di Cinisi c’era anche un uomo sottile, vestito in toni di marrone e con un viso tra il teso e l’orgoglioso, addobbato da baffi di un certo spessore.
Sigaretta in bocca, si insinuava in mezzo al corteo probabilmente alla ricerca di ciò che si dovesse raccontare, per dovere e amor di cronaca.
Tenace nella sua magrezza, si arrampicava su un pilastro di cemento tenendo ferma la sua telecamera ed il suo corpo ed attendendo che il corteo sfilasse in onore di Peppino Impastato.
Filmava, credo, per documentare la fedeltà ad un’idea pulita.
E a un certo punto, la gente ha iniziato a salutarlo e ad urlargli incoraggiamenti e calore; lui ha risposto sorridendo oltre il baffo e restituendo un cenno d’amore di quelli un po’ freak disegnati con la mano, nel linguaggio dei rockettari.
Non poche sono state negli anni le intimidazioni. Per dirne una, poche settimane fa, il 19 ottobre, il giornalista ha ricevuto l’ennesima missiva che gli intima di “stare zitto e lasciare il paese”, sottolineando che “la sentenza è stata emessa”; seguono le ennesime minacce di morte, stavolta dirette non solo a lui, ma anche ai suoi familiari. Carinerie, insomma.
Eppure, Pino non si risparmia, forte del fatto che il silenzio è morte, è resa, è sprecare, sprecarsi, gettare via tutto. “Questa ennesima intimidazione non bloccherà il lavoro che quotidianamente, da più di dieci anni, questa nostra piccola emittente televisiva sta facendo. Continueremo a raccontare cosa è Cosa nostra, come agisce, quali sono gli intrecci e le alleanze, quali sono gli appoggi di cui gode.”
Questo è il giornalismo che ci serve.
Fatto da un giornalista che però non è sempre stato tale, che ha dovuto lottare per ottenere il tesserino dell’ordine, che ha visto schierarsi contro di lui l’ordine stesso dei giornalisti siciliani per “esercizio abusivo della professione”; quell’ordine che fino a qualche mese prima gli aveva riconosciuto meriti, targhe, onorificenze e bla.
Dunque, un giornalista fuori dai ranghi dell’imbalsamata noblesse informativa attuale, ma senza dubbio un professionista dell’informazione che da anni porta avanti le sue e le nostre crociate contro le cosche mafiose siciliane, facendo nomi e cognomi di boss, inchieste scomode sulle cosche e sull’inquinamento provocato dalla distilleria Bertolino (una delle più grandi distillerie d’Europa).
Un giornalista che non si è mai arricchito con i suoi tg, che non ha mai partecipato a bunga bunga vari, che non ha mai stretto la mano a mafiosi o alle alte sfere politiche, né accettato il loro denaro per facilitarsi la vita, la carriera, il portafogli; in cambio, ha collezionato oltre 200 querele.
Pino ha ricevuto intralci di ogni sorta, ma i suoi processi li ha vinti, ha ottenuto il tesserino da pubblicista, ha continuato e continua a denunciare le collusioni mafiose che i più non vedono (o fanno finta di non vedere) …e vive sotto scorta. Ma anche sotto l‘ala della solidarietà di gente pulita come lui.
Nel giugno 2009 l’Ordine dei giornalisti ha finalmente riconosciuto che Telejato “è diventata un punto di riferimento, ben oltre la sua area di trasmissione, per i cittadini onesti” e si è impegnato ad “assumere ogni iniziativa utile finalizzata a garantire la libertà di Telejato, testimone di un impegno civile destinato a far crescere la speranza di quanti vogliono vivere in una società libera” (Giornalismo Blog).
Telejato oggi “è la televisione della gente, di quelli che non hanno voce, la televisione del popolo che è in difficoltà, che non trova spazi” (P. Maniaci). E il suo direttore è il simbolo di un giornalismo che va al di là di gentaglia come Fede, Feltri e Minzolini, delle grosse reti televisive Silvi-Esche di nome o di fatto, dei giornali più o meno compiacenti con milioni di investimenti pubblicitari.
Pino Maniaci e le sue guance scavate da un’ostinazione onesta sono il simbolo di una cittadinanza sovraesposta per scelta, che non può più stare zitta. Il simbolo di come chiunque, anche un piccolo imprenditore di paese, possa scegliere di volere, dovere e potere migliorare la vita degli italiani.
Guardandolo su quel pilone a Cinisi mi sono chiesta dove si prenda la forza di continuare contro i lividi, la paura di morire ammazzato nel sangue per strada, le auto bruciate, la puzza di collusione dietro la porta di casa. Ognuno ha le sue risposte; io conosco le sue (le troverete sul nostro prossimo PDF!), e le stimo, ogni giorno, perché hanno le palle: 2 palle siculo-nostrane che manco i turchi.
E bisogna dirlo che è anche grazie a persone come lui se oggi “siamo pronti a schifiarli” (P. Maniaci), questi mafiosi che ammorbano le nostre terre.
* Iniziativa che nel 2008 ha inaugurato “un network tra Telejato, associazioni, testate giornalistiche, movimenti, artisti, cittadini comuni, etc, per sottolineare la solidarietà all’operato di Pino Maniaci e per tener viva l’attenzione su una realtà che non deve unirsi alle cose da ricordare, ma alle cose da difendere“.
Oggi vi riproponiamo questo motto per sottolineare che la solidarietà a chi continua a lottare per il bene di tutti non deve essere una moda di un periodo, ma uno stile di vita.