Siamo tutti su Un tram che si chiama Desiderio

Creato il 12 aprile 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il aprile 12, 2012 | TEATRO | Autore: Puglisi Alessandro

Il sipario è già aperto. Le luci in sala rimangono accese. Entra un uomo alto, elegante. Recita la didascalia iniziale. Comincia così Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams (traduzione di Masolino D’Amico) nella versione diretta da Antonio Latella, prodotta dal Teatro Stabile di Catania e da Emilia Romagna Teatro Fondazione, che ha debuttato il 10 aprile al Teatro Ambasciatori di Catania. A Streetcar Named Desire viene pubblicato nel 1947, un attimo dopo il secondo conflitto mondiale, e mette in scena conflitti ben più interiori: forse spinto dall’esperienza dell’intervento di lobotomia subito dalla sorella Rose, Williams racconta, senza compassione per la propria protagonista, la breve storia della fragile Blanche che discende nel rifugio della follia. Latella ha il merito inestimabile di aver restituito al testo una modernità di cui si sentiva il bisogno; e lo fa, in primo luogo, attraverso un allestimento scenico, curato da Annelisa Zaccheria, e le luci, di Robert John Resteghini. I praticabili sono occupati da riflettori, amplificatori, spie (oltre a un faro da 5000 Watt al centro del palco, come un occhio gigantesco), i quali dunque acquisiscono (ed è tra le trovate più emozionanti dell’intero spettacolo) ancora più vita nella loro funzione di messa in risalto degli esseri che si muovono nell’area scenica; in secondo luogo, facendo costruire ai propri attori una recitazione che, da frontale, quasi asettica, diventa convulsa e fisica, infrange ogni regola della prossemica per attingere alla furia dell’amplesso. In quest’ambito, fondamentale è il ruolo del Dottore (Rosario Tedesco) che nel testo originale compare brevemente sul finale, mentre in questo caso, non solo è sulla scena costantemente, ma detta anche i tempi della recitazione, pronuncia le didascalie, segna le pause, ordina cesure e suggerisce atteggiamenti.

Il Dottore è una figura a metà tra il Dottor Hinkfuss di Questa sera si recita a soggetto e il dottor S. in Svevo. Blanche, interpretata in maniera disperata e costantemente sul baratro da Laura Marinoni, è dunque nella posizione di chi, rivivendo, rappresenta: parte dalla fine per giungere nuovamente alla fine. Così Un tram che si chiama desiderio assume una terrificante circolarità. Blanche non è semplicemente, e non è solamente, una Contessa Miseria di consoliana memoria, ma una donna che prova inutilmente, tra liquore e sesso, a colmare un vuoto caotico che la piega. Pirandellianamente parlando, per lei possiamo solo esperire il sentimento del contrario. Tutti questi elementi di suggestione sono magnificati dai deragliamenti effettuati rispetto al testo originale: Stella (una brava e provocante Elisabetta Valgoi) viene presentata quasi come una star immersa nel “sogno americano”, così come il marito Stanley (Vinicio Marchioni, di recente assurto a maggior notorietà per il ruolo del Freddo in Romanzo criminale). Annibale Pavone interpreta contemporaneamente l’Infermiere (che muove parte delle luci in scena, e assiste, irregimentato, alla rappresentazione) oltre a Eunice e Steve, personaggi secondari che opportunamente, a nostro avviso, vengono posti con decisione sullo sfondo.

Una volta di più in questo caso, gli espedienti tecnici contano, e non poco: l’uso di microfoni con aste sottolinea passaggi ben precisi, e il sonoro, curato da Franco Visioli, a tratti asseconda, a tratti sconvolge la scena, creando dissonanze mirate a scuotere la polvere accumulata sul dramma di Williams, non tanto dagli anni, quanto da compassate rappresentazioni delle quali il film di Elia Kazan del 1947, con Marlon Brando e Vivien Leigh, rappresenta il capofila. Strepitoso il momento in cui dagli altoparlanti suona ATWA, brano feroce dei System of a Down, dall’album Toxicity. Una rivisitazione di tale caratura potrebbe farci spendere molte più parole; ad ogni modo, siccome ci sembra necessario evitare il rischio della pedanteria, lo stesso peccato di cui si sono macchiati i gentili spettatori che, sbottando, hanno abbandonato la sala alla fine della prima parte, concluderemo. L’allestimento scenico è strepitoso, la regia è sapiente, la tensione è costante, gli attori sono bravi, in particolare la Marinoni e Marchioni, e lo spettacolo, nonostante la durata, riesce a catturare, emozionare, far pensare. Con buona pace della Emerita Società dei Parrucconi.

Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Stabile di Catania – Fotografie di Brunella Giolivo

Un tram che si chiama desiderio

di Tennessee Williams

Traduzione: Masolino D’Amico

Regia: Antonio LatellaScene: Annelisa Zaccheria – Costumi: Fabio Sonnino – Luci: Robert John Resteghini – Suono: Franco Visioli

con Laura Marinoni, Vinicio Marchioni, Elisabetta Valgoi, Giuseppe Lanino, Annibale Pavone, Rosario Tedesco

Un tram che si chiama desiderio viene presentato per gentile concessione della University of the South, Sewanee, Tennessee

Produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile di Catania

Catania, Teatro Ambasciatori, dal 10 al 22 aprile 2012



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