Stamattina su Repubblica ho letto un bel contributo di Michela Marzano dal titolo “La liberazione degli uomini. I modelli per sopravvivere alla fine del maschio” . L’autrice prende spunto da diversi articoli e libri pubblicati di recente che preso atto del declino del modello maschile imperante, cercano modelli alternativi per l’uomo. L’uomo che non deve chiedere mai è una figura ormai al tramonto, il modello del macho virile si scontra con nuove esigenze. Alcuni ritengono che la soluzione sia la riproposizione del modello in crisi. Uomo e donna sarebbero costitutivamente diversi per natura, i tratt caratteristici del primo sarebbero la violenza e l’azione, quelli della seconda la dolcezza e la passività. Altri propongono modelli alternativi in cui l’uomo assuma su di sè i caratteri tradizionalmente ritenuti femminili.
Mi è molto piaciuto il modo in cui Michela Marzano chiude il suo articolo e lo riporto qui:
Ma è veramente necessario cercare di definire esattamente l’essenza della mascolinità per permettere agli uomini di uscire da questa crisi identitaria che li tormenta tanto? Il malessere degli uomini non dipende forse proprio dal fatto che continuano a cercare di corrispondere ad un modello ben preciso di virilità, senza aver la possibilità di capire chi sono e cosa vogliono, indipendentemente dalle attese della società (e delle donne)? Nonostante tutto, non si riesce ad uscire dalle dicotomie ontologiche tradizionali: essere e avere; pensare e agire; dolcezza e violenza. Non si ha il coraggio di immaginare la possibilità della contraddizione e dell’ambivalenza: essere e fare al tempo stesso; avere accesso alla propria interiorità senza per questo rinunciare a modificare il proprio modo di agire; assumersi la parte di violenza e di dolcezza che ci caratterizza tutti, indipendentemente dal fatto che siamo uomini o donne… Per dirlo in poche parole, perchè voler a tutti i costi proporre un modello di “uomo nuovo” capace, certo, di semplificare il lavoro a coloro che hanno bisogno di certezze, ma sempre insoddisfacente quando si cerca, anche sbagliando e inciampando di fronte agli ostacoli, di trovare un cammino personale per dire “io sono”?
Non posso non sentirmi in totale accordo con quanto dice la studiosa. E da un certo punto di vista mi sembra che ‘sta storia della crisi del maschio sia un po’ un falso problema. Non so voi ma io personalmente quando penso ad un “vero uomo” non penso al cowboy della Marlboro stile John Wayne. Penso a un uomo intelligente, onesto, che sappia essere fermo nelle sue decisioni e nelle sue scelte, ma non un violento o uno che debba affermare sempre e comunque la sua virilità. Un vero uomo per me è un uomo che pensa e che ragiona, allo stesso modo in cui una vera donna è una donna che pensa e che ragiona. Perchè prima di essere maschi e femmine siamo esseri umani.Perciò quando leggo cose come quelle di Leonardo e commenti entusiasti dei suoi lettori penso che il modello del maschio non è in crisi per niente, tutt’altro. Mi riferisco soprattutto all’assunto generale che sembrava emergere da tutto quel discorso, una roba del tipo: “io voglio scopare e quindi vado con le prostitute e chissene frega che sono schiave”. Oppure quando penso ai vari casi di femminicidio non penso che siano legati in qualche modo a questa perdita del modello e all’inadeguatezza che l’uomo sente rispetto alla perdita del suo ruolo (1).Questo tipo di maschio non è mai in crisi e vuole una cosa sola: pretende solamente che né la propria coscienza né la coscienza di qualcun altro gli ricordi che così non agisce un vero uomo (2).
(1) Come sembrava pensare un po’ di tempo fa Massimo Fini. (2) Non posso fare a meno di fare un pensierino al luminoso Silvio.