Ormai si colpisce nel mucchio, per la verità sempre più scarno, delle imprese sane che ci restano, al fine di favorire una concorrenza straniera sempre più agguerrita e famelica. Eni e Finmeccanica sono due esempi lampanti di autosegamento dei coglioni via azione di zelanti magistrati imbeccati da soffiate furbette di servizi stranieri e nostri “prenditori” del vecchio vapore, incapaci di innovare e rinnovarsi e capacissimi di rubare. Lo Stato in mano a tali sicofanti si sta mordendo la coda processando se stesso e consegnandosi mani e piedi alla finanza predona. Ma lorsignori tutori del buoncostume e della pubblica morale, che invocano il patibolo finché non vi capitano sopra, ci hanno consegnato un Paese peggiore di quello che avevamo.
Feriti a morte i carnivori della Prima Repubblica, su mandato di avvoltoi internazionali, ci hanno messo nelle mani di vermi ed invertebrati di ogni specie, i “rettili” balzachiani, sotto tutela di magistrati e loro suggeritori antinazionali. Perché anche i nostri eroi della sbarra, animatori condizionati di quella stagione di caccia alle streghe e di pogrom mirati, erano parte integrante del complotto “importato”, finalizzato a privare l’Italia del suo protagonismo estero e delle sue solide basi industriali. I giudici proclamarono todos delincuentes per far spazio a servi più mansueti dei poteri forti angloamericani nella nuova situazione unipolare, disposti a dar via il culo degli italiani per qualche misera prebenda personale. Ora non si capisce più un cazzo e l’alveare sta andando a ritrecine. Stiamo morendo di moralismo che è il trucco con il quale gli inetti, i servili e gli autentici traditori giustificano la loro azione sociale e di governo, in faccia ad un popolo sempre più impoverito ed atterrito. Ma la morale che non si è mai imparata resta quella di Bernard de Mandeville, dal 1705 e da ancor prima:
“Abbandonate dunque le vostre lamentele, o mortali insensati! Invano cercate di accoppiare la grandezza di una nazione con la probità. Non vi sono che dei folli, che possono illudersi di gioire dei piaceri e delle comodità della terra, di esser famosi in guerra, di vivere bene a loro agio, e nello stesso tempo di essere virtuosi. Abbandonate queste vane chimere! Occorre che esistano la frode, il lusso e la vanità, se noi vogliamo fruirne i frutti. La fame è senza dubbio un terribile inconveniente. Ma come si potrebbe senza di essa fare la digestione, da cui dipendono la nostra nutrizione e la nostra crescita? Non dobbiamo forse il vino, questo liquore eccellente, a una pianta il cui legno è magro, brutto e tortuoso? Finché i suoi pampini sono lasciati abbandonati sulla pianta, si soffocano l’uno con l’altro, e diventano dei tralci inutili. Ma se invece i suoi rami sono tagliati, tosto essi, divenuti fecondi, fanno parte dei frutti piú eccellenti. È cosí che si scopre vantaggioso il vizio, quando la giustizia lo epura, eliminandone l’eccesso e la feccia. Anzi, il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtú da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa. Per far rivivere la felice età dell’oro, bisogna assolutamente, oltre all’onestà riprendere la ghianda che serviva di nutrimento ai nostri progenitori”.
Siano stramaledetti gli ipocriti di destra, di centro e di sinistra che stanno disintegrando l’Italia e la sua, a tratti, gloriosa Storia.