Noto con profonda sorpresa che l’esclamazione sic! viene utilizzata in maniera diffusa come espressione di dolore, rammarico, sorpresa, amarezza, frustrazione. Più o meno come il sigh! di origine fumettistica usofona.
L’esclamazione sic! in realtà non esiste proprio, è scorretto scriverla così e non indica un gemito.
Sic è semplicemente “così” scritto in latino, una lingua che si studiava molti lustri fa, e che ora si apprende tramite i quiz serali di Carlo Conti.
Questa curiosa espressione la conosce molto bene chi da ragazzo ha maneggiato quelle possenti traduzioni che faceva soprattutto la Garzanti, di classici stranieri o antichi. Capitava infatti che ai tempi di Aristofane la Vodafone non prendesse troppo bene, e che trovare corrette grafie e informazioni su Wikipedia fosse un po’ arduo. Per esempio Tolstoj era uno molto trascurato nella scrittura, e Dostoevskij non ne parliamo. Personaggi cambiavano nome o apparivano sdoppiati sulla scena, nomi proprio venivano scritti sballati o ad un certo punto Seneca scriveva che Ottawa era la capitale della Germania Est.
Così i poveri traduttori, che allora addirittura erano in grado di leggere il testo in lingua originale, fossero costretti a scaricarsi la coscienza dando tutte le colpe all’autore. E scivevano un bel sic tra parentesi. Che significava “così in originale, io non ci colpo”.
(sic) è la grafia corretta, senza punto esclamativo.
E’ così che il (sic) sconfortato dei traduttori di fronte agli strafalcioni dei grandi della letteratura si è trasformato in un singhiozzo e ha guadagnato un punto esclamativo, equiparandosi a un sigh! ma con il lustro della latinità e quindi dell’erudizione.
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