
Non ci riesco perché nessuno merita di essere ucciso da un suo simile. Ne sono fermamente convinto, oggi più che mai. Le immagini del corpo straziato e del volto insanguinato, di quegli occhi una volta pazzi e oggi spenti nel buio della morte mi convincono sempre più che nessun uomo abbia diritto sulla vita di un altro uomo, quandanche questi sia il più infimo degli infimi, il più reo dei rei, il più meritevole di ogni punizione. L’uomo Gheddafi aveva diritto, come ogni uomo sulla terra, ad un giudizio equanime e a una punizione giusta che potesse prevedere la redenzione. Una punizione senza redenzione non è una punizione ma una vendetta e pone il giudice nella stessa posizione dell’imputato. Questo vale anche per Gheddafi.
I Libici che hanno catturato e poi ucciso il dittatore sono rei di omicidio e questo è un dato di fatto. E’ anche vero che hanno tutte le attenuanti: essi erano in guerra, erano accecati dall’odio, avevano di fronte il carnefice di migliaia di concittadini, forse amici, forse parenti e familiari. L’odio e il desiderio di vendetta sono umani e in certi casi estremi vanno, se non giustificati, compresi. Quello che non si giustifica e non si può comprendere è l’atteggiamento di chi, lontano dai fuochi e dai crepitii delle armi, ora celebra la morte di Gheddafi come un avvenimento positivo. Tra questo ci sono anche coloro che pochi mesi fa lo adulavano e lo adoravano e lo eleggevano a “migliore amico” e “uomo di grande saggezza”.
Luca Craia






