Magazine Solidarietà
Le parole di Le Maire, che sono macigni lanciati in un momento di grave crisi (quindi meno evidenti a fronte del dramma umano), contengono l'essenza di gran parte dei problemi d'Africa e rappresentano quel comune sentire di chiunque si sia interessato d'Africa. Il ritornello, per usare le parole di le Maire, "se non vogliamo ritrovarci tra due anni davanti alle stesse scene di disperazione, dobbiamo cambiare metodo, non basta fornire aiuto finanziario, non basta portare milioni di dollari qua e là. Bisogna investire nell'agricoltura mondiale, aiutare i Paesi in via di sviluppo a sviluppare la propria sicurezza alimentare", rappresenta per molti una nenia che ascoltiamo da decenni e che francamente indigna.Ora si scaricano tutte le responsabilità sulla natura, che ingenerosa nei confronti degli uomini, sempre degli ultimi, si accanisce nel Corno d'Africa facendo mancare l'apporto delle piogge. Certo gli studiosi del clima sostengono che alcuni importanti cambiamenti climatici sono in corso e che la siccità potrebbe avere relazioni con correnti oceaniche e che quindi parte della catastrofe è attribuibile alla natura.
Ciò non toglie che vi sono questioni che da decenni organizzazioni non governative, ambientalisti, popolazioni locali e studiosi denunciano con insistenza e che restano irrisolte e inascoltate. Come è il caso del fenomeno del land grabbing, ovvero delle terre in affitto o acquistate (e sottratte alle popolazioni locali) dalle multinazionali per produrre biocarburanti o prodotti alimentari da esportare e di cui la FAO si occupa da anni (la prossima conferenza internazionale si terrà dal 17 al 20 novembre a Nyeleni in Mali) senza avere il coraggio di trovare soluzioni definitive che mettono fine a questo scempio. Proprio su questo tema qualche giorno fa, mentre migliaia di persone muoiono di fame, vi è stata una denuncia di Survival International su terre fertili in Etiopia sottratte alle popolazioni locali e che chiama in causa anche imprese italiane.
Così come non possono essere trascurate le continue denunce sulla pericolosità delle deviazioni di corsi di fiumi per costruire enormi impianti di produzione eletttrica che sottraggono acqua alle popolazioni locali e che hanno contribuito a peggiorare il quadro idrico dell'intera regione.
Sono state inascoltate le proposte dei movimenti contadini (Via Campesina in testa) sulla necessità di regolamentazione del mercato agricolo mondiale atte ad impedire la speculazione finanziaria sulle derrate alimentari.
Questi e altri temi (come ad esempio i costi esagerati della gestione dei grandi organismi internazionali) sono alla radice delle carestie ed è disumano continuare, da anni, a non affrontarli.
In Africa si interviene solo nelle emergenze. Vi una rassegnata, e talvolta consapevole, consuetudine di attendere la catastrofe prima di intervenire, di lasciare sedimentare e "cronicizzarsi" situazioni che altrove griderebbero allo scandalo e indignerebbero l'opinione pubblica. Gli africani sopportano con dignità e fatalismo. Assistono, oramai senza lacrime, alla morte dei propri figli, vedono la propria terra seccarsi e morire, abbandonano la propria casa e vivono pensando che il domani forse non verrà.
Certo guardando le immagini dei campi profughi del Kenya oggi vi è la consapevolezza che bisogna intervenire, subito. Lo stanno facendo e lo continueranno a fare, con capacità e passione, centinaia di volontari e di organizzazioni che sono sul campo, che raccolgono fondi e che tentano, in condizioni disperate, di alleviare le sofferenze di chi non ha colpe. In attesa di una nuova catastrofe.
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