I nodi vengono al pettine, anche quando i capelli sono quelli delle bambole che dicono “senza se e senza ma” quando le si inclina. Così non basta mettere un nome nuovo o poco esplorato in lista per cancellare errori, ambiguità, mancanza di sostanza politica: è come mettere carta da parati su un’intonaco muffito. Il campanello di allarme suona rabbioso per il Pd e nonostante i tentativi disperati di soffocarne il segnale, esso arriva chiarissimo dalla Sicilia: un sondaggio commissionato da Pd,- Udc nelle persone di Cesa e Migliavacca, all’Ipsos di Pagnoncelli e poi tenuto riservato, anzi nascosto e seppellito, dice che il primo posto nelle intenzioni di voto dei siciliani va a Claudio Fava, che al secondo c’è il pidiellino Micciché (poi sostituito da Musumeci), mentre Crocetta è solo terzo, tallonato fra l’altro da Rizzo dei Cinque stelle.
Forse è anche per questo che Crocetta si è lasciato andare a sorprendenti e grottesche promesse di castità, chissà pensando che il problema fosse quello della sua identità sessuale. E invece no, il problema è proprio politico: non si può pretendere che si creda a una qualche cambiamento e rinnovamento quando ci si allea con l’Udc e si cerca l’appoggio della eterna e compromessa gerontocrazia locale. Della lotta alla mafia non parliamo nemmeno visti i trascorsi dei centristi siciliani che non riguardano certo solo Totà Cuffaro, ma una filosofia e un modo di essere: non dimentichiamo che nel 2008 un’inchiesta della voce.info classifico l’Udc come il partito più infiltrato d’Italia (ma forse del mondo) con il 9% di candidati condannati in primo o in secondo grado e in attesa della procedura d’appello e della Cassazione. Certo erano numeri nazionali, ma fanno parte di una disinvolta noncuranza etica di opportunismo e affarismo che pare diluirsi solo quando si parla di famiglia o di famiglie.
Mentre, secondo indiscrezioni, il Pd starebbe cercando di convincere Crocetta a ritirarsi per sostituirlo con qualcun altro, anche se non si sa chi, una cosa è evidente: che in Sicilia sta fallendo piuttosto miseramente – almeno stando ai sondaggi (credibili in questo caso proprio perché affidati a un istituto “amico”) – la prova generale del gattopardismo centripeto da imporre sul piano nazionale con qualche variante di facciata come il coinvolgimento di Sel. Ma la Sicilia non si merita questo e non se lo merita l’Italia. E sulla vicenda dovrebbe forse riflettere attentamente Niki Vendola che si appresta a buttare alle ortiche un’occasione storica.
Come ha detto Alessandro Gilioli assieme ad altri nei giorni scorsi, non ci vuole una “cosa bianca”, ma una “cosa seria”. Purtroppo però la speranza che questa nasca all’interno di formazioni politiche ormai consistenti in apparati e interessi d’apparato quando non personali, ha pochissimo senso e rischia di dar vita a cose non proprio bianche, ma di altro e inequivocabile colore. Quello preferito del resto dalle agenzie di rating che sono il maggior alleato della sedicente sinistra italiana a quanto pare di capire. Occorrono nuove formazioni politiche in grado di interpretare i cambiamenti e la tempesta che stiamo attraversando, le speranze del Paese. Perché quelle esistente sono ormai logore e incapaci di reagire alle svendite decise altrove.
Attenzione, perché i nodi vengono al pettine anche quando si tratta di teste calve che a tutti i costi vogliono negare trasparenza. Il paese chiede una certezza di futuro, non l’omaggio acritico a feticci e sguardi aggrappati al passato: su tutto questo in un modo o nell’altro ci farà una crocetta sopra. In un modo o nell’altro appunto: il prima programma politico nel tifone è cercare che sia non il modo peggiore.
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