I testimoni di giustizia come le vittime di mafia, anzitutto per dar loro la possibilità di essere assunti nella pubblica amministrazione. La Sicilia potrebbe essere la prima regione. Scritto proprio dai testimoni di giustizia, il ddl è riuscito finalmente ad entrare nell’iter legislativo parlamentare. Il risultato è arrivato dopo un incontro tra il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone, una delegazione di testimoni di giustizia (Ignazio Cutrò, Piera Aiello, Vincenzo Conticello e Giuseppe Carini), e i parlamentari siciliani Fabrizio Ferrandelli e Baldo Gucciardi (Pd) e Giovanni Digiacinto (il Megafono).
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Il ddl per rendere i testimoni di giustizia come le vittime di mafia. Il testo, che ha ottenuto il via libera dalle commissioni Antimafia, Bilancio e Affari istituzionali, potrebbe, dunque, ottenere il via libera definitivo di Sala d’Ercole dopo l’approvazione della finanziaria e prima della pausa estiva, prevista per il prossimo 29 luglio. “E’ un bel segnale – dice il democratico Ferrandelli – che arriva alla vigilia dell’anniversario della morte di Rita Atria. Un gesto concreto, la dimostrazione di un’antimafia non parolaia. La Sicilia sarà la prima regione d’Italia a farlo. E’ importante – conclude – chiarire che i testimoni di giustizia non sono né pentiti né vittime, ma persone che hanno deciso da che parte stare”.
La testimonianza di Ignazio Cutrò, imprenditore siciliano e presidente dell’associazione nazionale testimoni di giustizia. “Con questa norma – spiega Cutrò, imprenditore della provincia di Agrigento e presidente dell’associazione nazionale testimoni di giustizia - si sostiene un principio: chi denuncia la mafia non può essere abbandonato dallo Stato. Ha il diritto di vivere una vita dignitosa, senza essere deportato come gli ebrei. La lotta a Cosa nostra non può avere colore politico. Mi auguro – conclude – che questo ddl possa essere rapidamente approvato e la Sicilia diventi un esempio per altre Regioni”.
Piera Aiello: “Noi fantasmi con una vita stravolta ma rifarei tutto”. A distanza di 23 anni da quella scelta che le ha cambiato la vita Piera Aiello, la prima testimone di giustizia donna d’Italia, ricorda bene la sensazione provata, trovandosi a Roma poco più che ragazzina con una bimba di tre anni. Il salto dalla sua Partanna, piccola cittadina del trapanese, alla grande metropoli non se lo aspettava. “Pensavo di andare dai carabinieri a denunciare quello che sapevo e tornare a casa alla mia vita di sempre, al mio lavoro in pizzeria” racconta all’Adnkronos.
La sconvolgimento totale della vita di Piera Aiello. Piera, una dei testimoni di giustizia ricevuti all’Ars, racconta che lei non voleva certo fare la vedova di mafia. Voleva giustizia per il marito morto ammazzato, ucciso sotto i suoi occhi, prima ancora per il suocero. Uomini d’onore, uccisi in piena guerra di mafia. Ma soprattutto per tutte le vittime di Cosa nostra. “A Partanna – spiega – da 20 anni si ammazzava, tutti sapevano e nessuno parlava. Allora ho deciso di dire basta”. La decisione di schierarsi apertamente dalla parte dello Stato lei l’ha presa nel 1991. “Neanche sapevo cosa era un testimone di giustizia” ammette. Dopo di lei a farlo è stata la cognata Rita Atria, che si suicidò a soli 17 anni dopo la morte di Borsellino. “Voleva vendicarsi per gli omicidi del padre e del fratello, ma poi quella sete di vendetta, quel sentimento di odio si è trasformato in una voglia di giustizia”.