Siciliani ultimi?

Creato il 29 aprile 2015 da Letteratitudine

Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Siciliani Ultimi? Tre studi su Sciascia, Bufalino, Consolo. E oltre” di Giuseppe Traina (Mucchi editore).

La prefazione del libro firmata da Giuliana Benvenuti è disponibile cliccando qui.

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di Massimo Maugeri

Giuseppe Traina è professore associato di Letteratura Italiana presso l’Università di Catania e insegna nella Struttura Didattica Speciale di Ragusa, città dove vive. Ha studiato autori italiani fra Sette e Novecento, dedicando particolare attenzione a Sciascia (La soluzione del cruciverba, 1994; Leonardo Sciascia, 1999; In un destino di verità, 1999; Una problematica modernità, 2009), a Bufalino (“La felicità esiste, ne ho sentito parlare”. Gesualdo Bufalino narratore, 2012), a Consolo (Vincenzo Consolo, 2001). Si occupa attualmente di letteratura comica e satirica.
Per la collana Lettere Persiane di Mucchi ha pubblicato di recente il volume “Siciliani Ultimi? Tre studi su Sciascia, Bufalino, Consolo. E oltre“.
Ho avuto modo di incontrare Pippo Traina porprio per discutere di quest’ultimo libro.

- Giuseppe, partiamo dalle ragioni che ti hanno spinto a pubblicare “Siciliani Ultimi?”…
Le ragioni principali sono l’amore per la grande tradizione letteraria siciliana, di cui Sciascia, Bufalino e Consolo sono considerati gli ultimi autorevoli esponenti, e, d’altra parte, il fastidio per ogni ragionamento troppo pessimista sulle sorti della letteratura nel secolo ventunesimo.
Avevo in precedenza già scritto i saggi su “L’affaire Moro” di Sciascia, sull’attività di Bufalino come antologista e sul romanzo “Retablo” di Consolo: ho pensato che raccoglierli in un libro, dopo averli un po’ rivisti e aggiornati, poteva essere un modo per tornare ancora una volta su autori già studiati in passato e sui quali ho pubblicato diversi libri, per valorizzarne aspetti poco noti oppure per rivalutare opere meno considerate rispetto ad altre. Ma mi sembrava anche giusto capire che cosa della loro eredità è considerato ancora valido dagli scrittori siciliani di oggi e che cosa, invece, è cambiato – anche radicalmente – nella scrittura di questi ultimi.

- Il titolo del libro non passa inosservato. Perché questa scelta?
Perché Sciascia, Bufalino e Consolo sono davvero stati gli ultimi grandi esponenti di una tradizione letteraria siciliana che – pur nelle inevitabili diversità fra autore e autore, fra stile e stile – ha dimostrato di avere non pochi tratti in comune: per esempio, la coscienza scontrosa di un’alterità antropologica; un antistoricismo tenace; una predilezione per la grande cultura europea unita alla scelta della Sicilia e dei siciliani come oggetto d’analisi; la tentazione di scrivere un romanzo–cattedrale, che sia affresco sociale o saga familiare; una scrittura che procede sui sentieri sinuosi del barocco o della prosa lirica o su quelli, non meno sinuosi, del ragionamento analitico in stile scabro ed essenziale. Insomma, quel quadro mosso ma coerente che Massimo Onofri ha rubricato all’insegna della “modernità infelice”. Ma, come dicevo prima, nell’introduzione al libro ho provato a dimostrare che, dopo i risultati splendidi raggiunti da questi tre grandi scrittori non c’è il nulla, c’è invece un “oltre”: altre forme di scrittura che, seppure in buona parte lontane dalle loro, ci dicono cose tutt’altro che secondarie sulla Sicilia di oggi, sull’Italia di oggi.

- Sciascia, Bufalino, Consolo: tre pilastri, dunque, della letteratura siciliana (e non solo) del secondo Novecento. Quali sono gli elementi che li accomunano? E quali quelli che li dividono?
Ad accomunarli mi pare sia soprattutto la fiducia nella letteratura come mezzo per esprimere e testimoniare un’alternativa possibile alla massificazione culturale e all’indifferenza valoriale. Anche un elemento che apparentemente li divide – mi riferisco alle scelte linguistico-stilistiche – può rivelare, se studiato a fondo e senza pregiudizi, interessanti aspetti in comune: penso alla complessità del periodare, che poi, naturalmente, ognuno di loro riveste di una patina lessicale molto personale. A dividerli abbastanza nettamente, invece, mi pare ci sia l’atteggiamento verso il proprio mondo interiore: che Bufalino affrontava a viso aperto, anzi esibendo una quasi impudica attitudine ad auscultare le proprie ragioni del cuore, mentre Sciascia e Consolo si aggrappavano tenacemente alle ragioni della ragione per schermare al lettore l’accesso a un mondo che doveva rimanere il più recondito possibile.

- Se oggi avessi la possibilità di scrivere una lettera a uno di questi tre grandi scrittori (e di ricevere risposta), a chi scriveresti? E perché?
Sciascia è l’unico dei tre che non ho conosciuto personalmente e la tentazione di scrivergli almeno una lettera immaginaria sarebbe molto forte; tuttavia, credo proprio che preferirei scrivere a Bufalino per chiedergli chi bussava alla porta nel terzo capitolo (mai scritto) di “Shah Mat” o se (laggiù o lassù dove adesso si trova) si odono ancora voci di pianto da un lettino di sleeping-car…

- In che modo la letteratura siciliana sta cambiando volto?
La letteratura siciliana cambia volto come un po’ tutta la letteratura mondiale: ibridando generi e tradizioni, linguaggi letterari e non letterari, lingue e pidgins; rimettendo in discussione gli stereotipi e magari correndo il rischio di crearne di nuovi; frequentando scuole di scrittura creativa ma anche continuando ostinatamente a frugare negli archivi; ricalcando la strada del realismo (ma guardando, in questo caso, di necessità a una realtà profondamente diversa) o spingendosi coraggiosamente nei territori del visionario, del grottesco. Naturalmente la distanza dalla tradizione potrà essere massima nei più giovani talenti (penso a Viola Di Grado) o minore nei letterati più esperti (un Santo Piazzese, una Silvana Grasso): quella che mi pare manchi, in generale (e per fortuna!), è la nostalgia del passato.

- A proposito di nostalgia del passato e di rapporto con il futuro… cosa puoi dirci dal tuo punto di vista?
Verso il passato nutro il massimo rispetto ma, appunto, nessuna nostalgia, semmai il desiderio di esplorarlo meglio, per riuscire a ricredermi su taluni pregiudizi o a riscoprire scrittori oggi ingiustamente dimenticati: penso, fra gli altri, a scrittori che erano siciliani per nascita ma che poi sono diventati scopritori insostituibili di altri orizzonti culturali: l’ispanista Carmelo Samonà o il sommo slavista Angelo Maria Ripellino, per esempio.
Quanto al futuro, come dicevo all’inizio, non sopporto i discorsi sulla crisi della letteratura che mi pare nascondano, sempre, la crisi personale dell’interprete rispetto a quel che sta cambiando, troppo velocemente, davanti ai suoi occhi pigri. Insomma, per concludere, prendo in prestito un’idea di Bufalino, il quale sosteneva che, mentre noi stiamo qui a discutere sulla crisi irreversibile della letteratura, da qualche parte nel mondo un novello Shakespeare sta imparando a compitare le sue prime parole.


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