Le tassonomie letterarie, crediamo, lasciano sempre un po' il tempo che trovano. È stato osservato, con qualche preoccupazione, di recente e soprattutto dall'opinione pubblica anglosassone, un "boom" di pubblicazioni, spesso indirizzate a un pubblico giovane, che presentano storie legate al tema della malattia.
Cancro, anoressia, depressione, psicosi, automutilazioni. In effetti, questo particolare problema si pone dal momento in cui, da alcuni anni, si è registrata l'emersione del genere Young Adult, ossimorica etichetta, a parere di chi scrive, molto utile ad assottigliare progressivamente il divario tra letteratura "per ragazzi" e letteratura tout court.
Valutare quanto di positivo e quanto di negativo ci sia in questo fenomeno non è cosa semplice, da esprimere a cuor leggero e senza supporti argomentativi, certo.
Peraltro, il novero delle opere considerate come appartenenti a questo presunto "genere" vede la presenza di Amabili resti di Alice Sebold, così come quella di Red Tears di Joanna Kenrick, o Never Eighteen di Megan Bostic.
Alla luce di questo, è proprio vero che, senza la questione legata alla crescita ed esplosione del genere YA, il problema non si sarebbe posto: altrimenti Pirandello, Mann, Kafka, Sartre, Svevo, tanto per fare gli esempi più macroscopici, non dovrebbero essere studiati alle superiori. O no?
Se si instaura, e si corrobora, come si è verificato, una sorta di " contropedagogia " in cui determinati stilemi, da letteratura "alta", vengono acquisiti, digeriti e risputati fuori in storie con protagonisti giovanissimi, non c'è poi tanto da lamentarsi.