Arriva come ogni tot il famigerato celebration day. E solitamente io sono quasi sempre in ritardo, ho problemi ad organizzarmi ma alla fine riesco sempre a imbucarmi. Questo è stato invece un anniversario particolarmente difficile, anche se ho fatto tutte le cose per tempo, perché del povero e compianto Sidney Lumet non ho mai visto nulla, manco un classicone come Serpico. Poi però pensa e ripensa ed ecco che un suo film l'avevo visto, ed era il bel Onora il padre e la madre, solo che era stato prenotato da una disperata Alessandra Muroni che non sapeva su che altro ripiegare, quindi da buon cavaliere ho accettato di cederglielo. Rimaneva quindi un fosco interrogativo: che minchia mi guardo? E quindi fra Wikipedia e altro materiale fornito dall'internetto ho iniziato una folle ricerca dei (pochi) titoli non ancora prenotati per poter dire la mia su questo regista che non ho mai avuto occasione di approfondire particolarmente. Alla fine però la scelta è ricaduta su Running on empty, dato che i Seventies mi hanno sempre affascinato da che ero in prima superiore, senza contare che oltre alla musica di quel periodo volevo anche cercare di studiare il contesto che aveva dato origine alla [parvenza] di ribellione delle contestazioni di quel decennio. Tutto questo però mi ha fatto pensare al fatto che è il primo giorno celebrativo durante il quale recensisco un film che non avevo visto in precedenza, quindi è anche un buon momento per riuscire a farsi una cultura su un regista che conosco davvero poco.
I Pope, da che una loro attentato contro un laboratorio nucleare è andato male, sono ricercati dalla legge e vivono fuggendo. Ogni sei mesi devono cambiare città, macchina, capigliatura e identità, costringendo a questa vita anche i loro due figli. Danny, il figlio maggiore, però, sembra essere particolarmente sofferente di questa condizione, dato che gli impedisce di applicarsi alla musica e di iscriversi alla Julliard...
Nonostante il titolo di questo [insulso] blog, non sono mai stato uno spirito particolarmente ribelle. Basti pensare che non ho mai fatto una marina a scuola, non ho mai fumato uno spinello e pure con l'alcol ci sono andato abbastanza leggero. Non che basti questo a rendersi dei ribelli, ma credo che in una società nella quale ormai quasi tutti hanno standardizzato un certo tipo di benessere sia stupido voler fare i bastian contrari ad ogni costo, specie se poi si va a casa a pipparsi sul pc o la playstation regalati dai genitori. Come recita il titolo di questo film, voler essere ribelli in quest'epoca dove tutti vogliono contestare qualcosa, mi sembra un po' un vero e proprio girare a vuoto. Con questo non voglio quindi sminuire i ribelli presenti in ogni parte del mondo, ma solo mettere alla berlina un certo modo di essere tali, quello più infantile. Anche perché, in ogni epoca che si prende in analisi, si deve fare una certa differenza fra un certo tipo di modo di approcciarsi allo spirito che ne animava i componenti. Quelli dei Seventies avevano la guerra in Vietnam, un pensiero rigoroso che non accennava a diminuire col passare degli anni e un razzismo che non si era arrestato con la morte di Martin Luther King... quelli della mia generazione, semplicemente, hanno la vita. E la vita segue un corso strano, perché non conta tanto quello che si vive, ma ciò che impari dai tuoi trascorsi. E' un po' questo che mi sono ritrovato a pensare in questo delicato film del compianto Lumet, regista che come ho già scritto non conoscevo moltissimo e che durante l'anno dovrò riscoprire. Ho cominciato con quello che è universalmente riconosciuto come uno dei suoi film minori, nonostante i vari premi e la nomination all'oscar per la migliore sceneggiatura originale, e non posso proprio dire di essermene pentito. Running on empty [scusate, ma se faccio un errore di battitura col titolo italiano viene fuori una parola molto volgare] non è un film che cambia la vita, non ha una morale particolarmente profonda o dei monologhi che ti trafiggono il petto. E' un film semplice che parla di persone reali, delle loro paure e delle loro contraddizioni. E soprattutto è un film che parla di giovani. Non di g-g-g-g-giovani, ma di giovani, che è una cosa ben diversa. Di quel particolare processo di crescita che va oltre i peli sul petto, la barba e il calare dei coglioni [quelli avranno modo di cadere molte volte, durante il corso dell'esistenza], ma della decisione di ciò che si vuole essere. Perché forse si può essere vittime di tante cose: del mondo, della Storia, del bulletto che ci ruba la merenda o della ex molto stronza, ma spesso la sfida maggiore la danno le proprie scelte. E' per colpa delle loro scelte che i genitori di Danny sono costretti a fare questa vita ed è per colpa di una scelta che Danny metterà in precario equilibrio la struttura familiare. Temi molto importanti ma che, nonostante si conferisca loro la giusta dignità, vengono toccati appena, stando da una debita distanza per evitare di farsi troppo male. Questo è il difetto maggiore del film che, per quanto sorretto da un River Phoenix davvero straordinario nonostante la giovanissima età, se ne sta in una sorta di limbo che lo fa sembrare abbastanza tiepidino, complice anche un finale forse troppo prevedibile e frettoloso che toglie gran parte di quel pathos che una scena simile poteva donare. Forse non tutte le donuts vengono col buco, ma qui almeno abbiamo una krapfen molto saporito che di buchi non ne necessita particolarmente, quindi si finisce la visione abbastanza appagati da ciò che si è visto, magari spinti a fare certe riflessioni su certi argomenti - magari anche esterni al film.
Forse non la scelta migliore per celebrare un regista così rinomato, ma purtroppo (o per fortuna) questo mi è toccato. Spero di poter parlare di Lumet e dei suoi veri capolavori in altre occasioni.Voto: ★★★Partecipano con me anche:Director’s cultIl bollalmanacco di cinema
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