La stessa voce narrante, parlando dei propri autori di riferimento, nomina «persone come Lowry e Carpentier, Beckett, Konwicki, Bruno Schultz, e Joyce», questo poco dopo aver affermato: «Mi sembra che la scrittura abbia a che fare più con il leggere che con la vita». Dunque, se qualcuno diceva che «la vita la si vive, o la si scrive», in questo ambito la vita vissuta incide sulla vita scritta, e quest'ultima si ripercuote sulla prima, talvolta smascherandone contraddizioni, o riportando alla luce la mancata risoluzione di contrasti.
Siamo perciò in presenza di un “duro campo di battaglia” (che non è il letto, come nel titolo di un romanzo della scrittrice milanese Una Chi, al secolo Bruna Bianchi, di alcuni anni addietro); duro ma allo stesso tempo quasi impalpabile, costituito dall'assemblaggio delle parole, dall'arduo e periglioso processo che prevede la loro messa in concatenazione. Ed è proprio questo difficile compito, che viene messo in grande evidenza nel romanzo di Gibson: la scrittura alterna distensioni e involuzioni, talvolta perdendosi in descrizioni dettagliate, che durano pagine, talaltra risolvendo dialoghi serrati con tocchi brevissimi.
L'alternarsi delle tre storie ha molto di cinematografico: come in un montaggio alternato (o parallelo, se si preferisce) Fraser, Simpson e Dunbar sono tre uomini in uno, o uno solo triplicato. Quel che è certo, è che la creazione diventa uno strumento quasi taumaturgico, con cui si prova a compiere il miracolo della riconciliazione con la propria esistenza e con i fatti che l'hanno e che potranno caratterizzarla; e allo stesso tempo, dal punto di vista dell'“autore-Gibson” una possibilità di critica a certa letteratura, della quale, probabilmente, lo stesso Fraser si è reso complice nella sua attività di scrittore.
Non c'è dunque miglior conclusione, per questa riflessione, delle parole che dice il protagonista (o almeno uno, dei protagonisti) di Signor morte, a un certo punto del suo “pellegrinaggio”: «Il fatto è che a cinquantasei anni, sono irritato dalla letteratura che ti sfinisce spiritualmente».
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