Lo ammetto: nei confronti di Treviso ho sempre avuto una certa idiosincrasia, pur volendo molto bene al suo paesaggio e a tante persone che da lì arrivano e che sono importanti nella mia vita.
E questo, nonostante mio nonno fosse di Mansuè, cioè della provincia agricola di questa città.
La giunta leghista (Gentilini e i suoi teschi disegnati vicino agli stop), il razzismo di molti dei cittadini, l’ipocrisia che era stata ben ritratta da quel vecchio film di Pietro Germi, “Signore & signori”, sempre attualissimo, l’integralismo cattolicheggiante: non amavo questa città come avrei voluto, o perlomeno avevo un rapporto conflittuale, come spesso accade nei luoghi che si sentono quelli di provenienza.
Invece lo scorso fine settimana è cambiato tutto, e un po’ è colpa/merito di Riccardo Fabiani, che mi ha chiesto di introdurlo con domande e interventi (più o meno intelligenti) sul suo libro autoprodotto, “Road trippin’”.
Di fronte avevamo una platea interessatissima, attenta, che ha seguito tutti i nostri discorsi dal primo all’ultimo: quaranta minuti di botta e risposta sui viaggi illustrati di Riccardo, sui quindici anni passati zaino in spalla e taccuino in mano; in una bellissima ex chiesetta sconsacrata e ora presidio FAI, dove, mi dicono, si fanno tanti concerti e presentazioni.
Insomma ho conosciuto un’altra Treviso, che assieme a quella di Silvia Salvagnini, Chiara Dazzi (autrice di questa gallery), Alessandra Ghizzo e tante altre persone che stimo, mi ha aiutato a riconciliarmi con questi luoghi.
Anche se, lo riconosco, l’omaggio enologico di CartaCarbone festival alla relatrice ha contribuito notevolmente a riappacificarmi con la città.