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Silent Hill: un Videogioco Capolavoro per Due Film Senza Troppo Coraggio

Creato il 24 luglio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Mario Turco 24 luglio 2013 Silent Hill: un Videogioco Capolavoro per Due Film Senza Troppo Coraggio

Silent Hill non è mai stata un luogo da connotare in senso meramente spaziale (topograficamente reale o immaginario poco importa), un semplice set per un survival horror, uno scenario pauroso dove aggrumare mostri aberranti, un continuum temporale al cui interno inserire eventi esecrabili. Silent Hill è “la città marcia” che c’è dentro di noi. Accantonato il pretesto narrativo, l’archetipo principale del videogioco consisteva infatti nell’esplorazione condotta dal protagonista nei meandri di una delle centinaia città-fantasma dell’eterna provincia americana. Avvolta in una nebbia perenne, in una caduta di cenere dal sapore vagamente apocalittico, bastava appena un’indagine condotta da un dilettante dell’investigazione a scoperchiare oscure cospirazioni religiose e incubi marcescenti. A un segnale sonoro rigidamente determinato quale quello di una sirena di porto, la città mostrava il suo vero volto demoniaco. Ed erano proprio le sedi a noi più familiari, una scuola, un ospedale, un hotel, a collassare in una spirale di rovina inarrestabile. La lettura psicologica, in filigrana, è fin troppo ovvia. Proviamo a sondare un po’ più del normale nell’anima di coloro che ci circondano. All’inizio essi conservano la loro abituale placidità eppure basta una modesta quantità di solerzia indolente per farci scoprire dietro a tanti volti apparentemente pacificati l’esistenza di demoni terribili. Questa era, in nuce, l’essenza del videogioco. Ma a che livello si pongono i due film tratti dal capolavoro Konami? Cominciamo dal primo Silent Hill, diretto da Christophe Gans e uscito nel 2006.

Silent Hill: un Videogioco Capolavoro per Due Film Senza Troppo Coraggio

Per limiti di spazio dovrò limitare a sporadici cenni alcuni interessanti argomenti sulla modalità generale di tali trasposizioni trans-mediali. È noto che come esista una teoria critica vecchia quanto il cinema sul passaggio da letteratura alla settima arte, negli ultimi anni sta germogliando anche in ambito accademico un pregnissimo corpus di testi che analizza il rapporto tra cinema e videogiochi. Se il rapporto di sudditanza tra i due mezzi si sta ormai capovolgendo (in tanto cinema popolare ci sono frangenti in cui sembra proprio di dover schiacciare la X per far saltare il protagonista), la pellicola del regista francese ne rappresenta la migliore forma di collaborazione, pur trattandosi di apporti qualitativamente sbilanciati a favore del videogioco. Questo infatti fornisce a Silent Hill i propri innesti migliori: un’ambientazione tetra e deprimente, mostri dall’estetica consimile a quella dell’artista svizzero Hans Ruedi Giger, alcune ri-occorrenze temporali di pura angoscia (la sirena che annuncia la putrescenza della cittadina, la radio che gracchia alla sortita delle creature), un’atmosfera quasi fatalistica della caduta nel Male.

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Il cinema, dal canto suo, doveva fornire la cornice narrativa che avrebbe dovuto elevare questi sulfurei elementi al rango di opera d’arte. La produzione si era affidata alla sceneggiatura di Roger Avary, sodale di Quentin Tarantino e premio Oscar per Pulp Fiction (mi permetto una piccola divagazione: basterebbe il risultato di questo Silent Hill a smentire la pretestuosa affermazione critica di chi nel 1994 ebbe l’ardire di scrivere che il vero genio tra i due fosse Avary). Come se volesse rimarcare la propria primogenitura e il proprio “specifico filmico”, la storia assembla i maggiori tòpos del genere horror. Così a una prima parte idilliaca descritta con poca convinzione subentra ben presto la classica rottura che fa intraprendere alla protagonista il viaggio verso la cittadina alla disperata ricerca di qualcosa che faccia terminare le crisi di sonnambulismo della figlia. La discesa agli inferi della madre ha però il merito di seguire la struttura del mistery soggettivo piuttosto che del più scontato thriller: lo spettatore scopre assieme a Rose i deliri della setta religiosa che ha causato gli incubi di Sharon/Alessa.

Silent Hill: un Videogioco Capolavoro per Due Film Senza Troppo Coraggio

L’indagine di Rose tiene così catalizzata l’attenzione in due concatenate direzioni. Da una parte il climax di orrori visivi è raggiunto grazie all’utilizzo di una sapiente scenografia che avvolge tutto nella nebbia e nella rovina, e dalla cui spettralità emerge il fascino perverso di infermiere senza volto ridotte alla pura sinuosità delle forme (il richiamo all’identica operazione che fa il porno è genialmente intrigante) o l’orrore per la testa esotericamente piramidale dell’icona della saga, Pyramid Head. Dall’altra lato però l’accumulo di misteri ricalca troppo passivamente l’identico itinerario videoludico. Il film deve ridurre in 120 minuti ciò che il videogioco dispiega in ore di esplorazione. Deve per ciò compiere una cernita degli enigmi più rappresentativi ed empatici. Quest’inevitabile selezione avrebbe perciò comportato un maggior coraggio in fase di scrittura. Tutto si svolge in una maniera troppo piana e chiara, quasi da rendere inutile la già lunga spiegazione conclusiva. Una volta appagate le richieste di congruità dei fan della saga e dopo aver solleticato gli appetiti di quelli dell’horror cinematografico, sarebbe rimasto anche lo spazio per rendere finalmente adulto il genere. Gans ed Avary scelgono invece di non correre troppi rischi lasciando all’irrisolto finale il compito di permeare di ambiguità l’intera operazione. La sospensione di Rose e Sharon nella dimensione di Silent Hill rappresenta un riassunto intelligente dei diversi finali del videogioco o l’apertura verso l’inevitabile sequel?

Silent Hill: un Videogioco Capolavoro per Due Film Senza Troppo Coraggio

Nel 2012 fornisce la risposta il regista Michael J. Bassett con l’uscita nelle sale di Silent Hill: Revelation 3D. A costo di apparire fin troppo arrogante, per descrivere il lungometraggio basterebbe scandagliare semioticamente il titolo. Naturalmente non si può rinunciare al brand del franchise e scegliendo di appiccicargli la succulenta promessa di una rivelazione dal sapore assoluto (non LE rivelazioni ma LA rivelazione) si cerca di attrarre i fan del videogioco e gli estimatori del primo film. Il richiamo del 3D in produzioni di questo genere lascia intendere ulteriormente il pubblico di riferimento. Tutta la fase di marketing era virata sulle sessioni intensive del videogioco alle quali si era sottoposto (volente?) il regista inglese. Stavolta è stata Hollywood a ricalcare gli aspetti più ruffiani del nostro cinema: la produzione sceglie di ingaggiare infatti uno dei volti principali del televisivo Il trono di spade (Kit Harington) per riproporne anche l’alchimia con Sean Bean, altro attore presente nel serial della HBO. Se il film di Gans forniva il proprio personale compendio della saga non rinunciando nell’arco della storia a strizzare l’occhio agli appassionati, Silent Hill: Revelation 3D dichiara sin da subito di voler trasporre il terzo episodio del video game su pellicola.

Silent Hill: un Videogioco Capolavoro per Due Film Senza Troppo Coraggio

Con tali premesse il film di Bassett non poteva che far arretrare l’ambivalente lavoro compiuto sul primo episodio alla selva delle altre mediocri trasposizioni modali, da Max Payne ai vari Resident Evil. Della provincia americana che teme sé stessa, del sentore di disfacimento morale compenetrato con quello fisico, della nebbia che rende indistinguibile bene e male, resta appena l’eco iconografica. La prima parte del lungometraggio ha l’andamento di un insulso mélo adolescenziale e alla costruzione della personalità dell’apolide Sharon non giova l’inespressività di Adelaide Clemens che la interpreta. Silent Hill viene degradata da protagonista a semplice sfondo: delle due dimensioni in cui è avvolta la città, quella della nebbia e quella del disfacimento, la cui trasmutazione angosciosa e inarrestabile rappresentava la vera inquietudine dell’opera di Gans, il film sceglie di concentrarsi quasi esclusivamente su quella più propriamente orrorosa. Per quanto resti visibilmente apprezzabile, la ricerca di Sharon si riduce allora ad una giostra di aberrazioni dal gusto sadomaso, con un finale affrettato che scivola nel truculento più scontato quando si scontrano i due mostri principali. Horror, action, 3D, incassi sostanziosi ma affossamento di un potenziale che meritava tutt’altro sviluppo.

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