Galeotto fu il testo teatrale
Due atti e un epilogo compongono Sils Maria, l’ultimo lungometraggio di Assayas in concorso a Cannes 66. Juliette Binoche è magnetica ed è ben aderente al personaggio della diva anacronistica, che assume consapevolezza e raggiunge una completa maturazione.
Maria Enders è un’attrice quarantenne con una brillante carriera teatrale e cinematografica iniziata a 18 anni interpretando Sigrid, una giovane ambiziosa che fa innamorare di lei la quarantenne Helena. Vent’anni dopo viene convinta da un regista emergente a partecipare a un remake teatrale della sua opera di debutto. Solo che questa volta Maria dovrà interpretare Helena. Pur dubbiosa Maria accetta e comincia a provare la sua parte in uno chalet a Sils Maria con la sua assistente Valentine. La lettura del testo però evidenzia l’insicurezza dell’attrice e la sua paura di invecchiare.
Sils Maria non è metacinematografico e nemmeno metateatrale. Sils Maria è una contaminazione, è un prodotto ibrido che trova libero sfogo in un duetto da palcoscenico. Il duetto vede coinvolte Juliette Binoche e Kristen Stewart. La prima è una diva del cinema e del teatro, che si preoccupa che il suo nome non appaia nei crediti di un episodio degli X-Men, mentre la seconda è la sua giovane assistente, digitale e con una visione del mondo molto più sfaccettata. Sono questi due personaggi che animano Sils Maria, due caratteri agli antipodi, ma profondamente legati da un rapporto lavorativo, di rispetto e affetto reciproco. Ed è proprio questa duplice rilevanza che Assayas va a sottolineare, rendendo ambiguo (ma non morboso) il rapporto tra le due protagoniste. Il risultato? Una pellicola che si chiude idealmente su se stessa, composta da lunghi segmenti che terminano in dissolvenza. Tuttavia il ritmo della pellicola non perde in fluidità, ma anzi guadagna da una scansione dei tempi ben definita, che sfocia in un’evoluzione e in una continuità narrativa invidiabile. E questo è sicuramente un elemento a favore di un prodotto che fa dell’enorme lavoro su una sceneggiatura verbosa, che potrebbe risultare alla lunga boriosa e ripetitiva, il suo marchio di fabbrica. Assayas riesce a non inciampare in un ostacolo così evidente grazie anche alla scelta di procedere per gradi nella personalissima indagine introspettiva dell’attrice protagonista, portandola su un palmo della mano fino alla completa consapevolezza e completa maturazione.
E tutto ciò come avviene? Assayas usa un testo teatrale e la sua energia rievocativa; un testo figlio del passato della protagonista, sul quale Maria Enders ha scandito e scolpito la sua intera carriera attoriale. Insomma un lavoro stratificato, complesso (se osservato in superficie), ma in realtà semplice, comprensibile e di facile lettura. È questo l’interesse del regista francese, che indugia sui volti della Enders e dell’assistente Valentine, confermandosi un narratore profondo ed estremamente brillante, in grado di strappare un applauso a scena aperta. Perché Sils Maria è il classico film che scava in profondità, che si insinua nei personaggi per psicoanalizzali e tirar fuori paure e recondite convinzioni. E tutto ciò è in grado di farlo un (galeotto) testo teatrale, che scandisce il tempo che passa e sottolinea la necessità di sentirsi ancora giovani (dentro) per poter azzerare il proprio passato e ricominciare da un nuovo punto.
Voto: ****