di Rina Brundu. Consumato lo scisma con il fido delfino Angelino Alfano, ridotti gli improbabili falchi alla stregua del fantasma dei natali passati di Charles Dickens in Christmas Carol, Silvio Berlusconi, mai domo, annuncia di avere un “colpo segreto” contro Matteo Renzi. Dato che la candidatura di Marina è cosa non-fatta e che non si farà l’unica domanda che sorge spontanea è: starà pensando di candidare Dudù alla premiership? Del resto, vista la qualità dei nostri rappresentanti politici bipedi dal dopoguerra ad oggi muovere verso un parlamento di quadrupedi non è idea malvagia. La storia, sebbene solo letteraria, è con loro. Nella celebre distopia “La fattoria degli animali” (1947) di George Orwell si evince chiaramente che sia i maiali sia gli animali in rivolta contro la loro dittatura suina fecero decisamente meglio della classe dirigente politica italiana.
Nell’attesa di questo auspicabile cambio al vertice, e non contento di avere già accostato la sua personale vicenda politica e privata alle sofferenze imposte al popolo ebreo da Hitler, Berlusconi è arrivato fino a paragonare la sua prossima “decadenza” ad un golpe. Berlusconi come Allende nel settembre del 1973? Caso mai vedessimo dei caccia Hawker Hunter avvicinarsi a Palazzo Grazioli in formazione d’attacco il dubbio sarebbe definitivamente sciolto; nell’attesa il dubbio resta. Il dubbio resta è più il tempo passa più diventa una sorta di coltello acuminato in grado di stralciare il velo nebbioso che ha avvolto gli ultimi 25 anni della nostra storia; finanche in grado di mostrare insperati momenti di verità. Di mostrare, per esempio, il vero volto di un uomo capace di piegare lo spazio-tempo, qualora fosse necessario, pur di raggiungere il risultato e di imporre il suo volere.
Un tratto caratteriale, una qualità ammirevole quest’ultima in un leader, ma anche pericolosa quando il terreno su cui si sta giocando la partita è quel confine immaginario che separa il nostro orizzonte democratico dalla dittatura. Una dittatura, quella berlusconiana, che diversamente da quanto hanno sempre scritto i giornali a lui avversi non ha mai riguardato il paese as-a-whole (ancora, ancora siamo riusciti a salvarci da un simile baratro), ma ha riguardato senz’altro il suo principato e ogni dominio politico direttamente controllato. Anche per questi motivi bisognerebbe fare tanto di cappello ad Angelino Alfano e alla sua pattuglia di “traditori” che hanno dimostrato dall’interno (dall’esterno è sempre facile parlare), come il giogo imposto, di qualunque natura esso sia, prima o poi diventa troppo pesante da sopportarsi e il desiderio di libertà, quella vera, la vince sempre anche in presenza di vincoli amicali, di fiducia e di riconoscenza molto forti.
Come a dire che forse non tutto è perduto. Peccato che l’unico a non essersene accorto sia proprio questo Silvio Berlusconi che anziché accettare (come fanno in tanti nell’anonimato delle loro celle e delle loro vite che spesso, molto spesso, sono celle di carcere con vista cielo e senza secondini), la sentenza con cui è stato giudicato; anziché accettare il suo destino come un leader con le palle, quelle che servono per vivere ogni giorno senza scorte e senza clac incensanti e interessate, continua a lanciare anatemi contro Tizio e contro Caio e ad avanzare richieste senza senso alle massime cariche istituzionali. Ripensandoci riconosco di avere sbagliato in tutti questi anni; come mi ha fatto notare qualcuno solo qualche giorno fa, Berlusconi non è e non è mai stato un vero leader: i veri leader infatti si vedono nel momento della difficoltà e nella dignità e nell’orgoglio con cui sanno morire.
Featured image, il Palacio de La Moneda sotto i bombardamenti durante il golpe cileno del 1973.