Silvio non commenta. Fra silenzi e mezze frasi è iniziata l’elaborazione del lutto berlusconiano

Creato il 19 maggio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Silvio tace. E questa è una notizia. Farsi passare per un domenicano scalzo impegnato nel ritiro spirituale, dicono che faccia parte della sua strategia comunicativa post legnata elettorale. Anche Palazzo Grazioli è silente, pure se qualche trombetta del Pdl non lesina di tirar fuori un do, ma con la sordina. Chi continua a non capire nulla di quello che è successo, è la coppia diabolica Sallusti (fresco Premio Hemingway per il giornalismo –sic!-) e la di lui fidanzata Daniela Santanchè il cui primo commento dopo l’exploit di Pisapia è stato: “Milano non può essere governata dalla droga”, dando l’ennesima dimostrazione di essere una moderata “dentro”. I due kamikaze del Pdl, al cui confronto Osvaldo Valenti e Luisa Ferida sembrano due comici d’avanspettacolo, sono gli unici a tenere botta, a rispondere colpo su colpo agli attacchi che stanno arrivando in queste ore, e da tutte le parti, al loro uno e trino signore e padrone. Danielona ha perfino dato una lucidatina al silicone delle labbra sperando di arrapare i vecchietti di “Villa Sorriso” stanchi di vivere nelle tende piantate davanti dal tribunale di Milano, mentre Ernest (ormai dobbiamo chiamarlo così e non più Olindo), ha individuato in Comunione&Liberazione e quindi in Roberto Formigoni, la causa principale della disfatta milanese: “Hanno fatto finta di impegnarsi”, ha scritto ET nel suo editoriale. Immediata la risposta del governatore della Lombardia: “Sallusti cambi pusher”. E per la serie le disgrazie non vengono mai sole, dalla disfatta berlusconiana stanno prendendo le distanze anche i Responsabili i quali, ieri alla Camera, hanno mandato sotto la maggioranza per ben cinque volte nelle votazioni su mozioni e ordini del giorno. Qualcuno dirà “poca roba, non era un voto di fiducia”, ma la dichiarazione di Luciano Sardelli, portavoce dei Reponsabili, è stata chiarissima: “Dopo i risultati delle elezioni amministrative sospendiamo la richiesta di nomina dei nostri sottosegretari”. Sentito Sardelli, sembrerebbe che i Responsabili vogliano fare un passo indietro ma così non è, stanno tenendo anche loro per le palle Silvio Berlusconi consapevoli di essere indispensabili al governo, ma anche del fatto che la mancata nomina porta la firma di Umberto Bossi e dei padani che non ne possono più di Razzi e Scilipoti. A proposito di Bossi. È inutile sottolineare l’ira del leader della Lega perché stavolta l’Umberto si è proprio incazzato. Da una parte sta correndo il rischio serissimo di perdere la sua capitale, dall’altra si ritrova una base che, come testimoniano le telefonate degli ascoltatori di Radio Padania, vuole sganciarsi definitivamente da Berlusconi. I leghisti, che è gente che lavora e che non ci pensa neppure a pettinare le bambole di Ruby, si sono stancati di essere considerati la ruota di scorta del berlusconismo e, mentre hanno capito che il federalismo municipale così come è stato scritto non serve a una mazza né tantomeno a curare gli interessi dei cittadini, si ritrovano anche pieni di immigrati tunisini e rifugiati libici che stanno arrivando a frotte alle porte delle loro città. “Non ci faremo tirare in fondo”, ha detto Umberto Bossi commentando l’alleanza con il Pdl, anche se subito dopo ha aggiunto: “Vinceremo il ballottaggio”. Contento lui! Un’altra che fa finta di nulla è Laetitia. Ripresa ieri durante una seduta della giunta comunale di Milano, ha detto che lei, eletta dal popolo, deve continuare a fare gli interessi della collettività e che non può fermarsi di fronte all’avanzata di un ladro, tossicomane, frequentatore di centri sociali, fiancheggiatore dei terroristi e pure un po’ puttaniere che risponde al nome di Giuliano Pisapia, inaugurando così la nuova strategia della sua campagna elettorale per il ballottaggio e facendo sorgere spontanea la domanda: “Ma non aveva cambiato spin doctor?”. Preso atto che il Terzo Polo lascerà libere le sue esigue truppe di votare secondo coscienza, resta la convinzione che una mano al centrodestra comunque la darà. Le dichiarazioni di autorevoli esponenti di Fli, fanno infatti ritenere che la posizione dei terzopolisti non sarà poi così neutrale, come hanno dichiarato ieri i loro leader, e che l’attrazione nei confronti di chi ha ancora in mano il potere vero e anche parecchio denaro, è più che mai fatale. Chi, dal versante dell’opposizione, è uscito con le ossa rotte da questa tornata elettorale è l’Idv. Il partito di Di Pietro ha dissipato in due anni tutto quello che di buono era riuscito a costruire con una opposizione dura, coerente, battagliera, nella quale in molti si erano ritrovati. La caduta verticale, iniziata con la scelta di schierarsi dalla parte dell’inquisito De Luca alle regionali campane, l’abbandono della linea “movimentista” del partito e la conduzione dispotica, da one-man-band, di Di Pietro, ha portato l’Idv al 3 per cento dall’8 che aveva alle europee. I giovani, perché di loro stiamo parlando, hanno sbattuto violentemente contro il muro dei signori delle tessere che lo stesso Di Pietro aveva detto di voler escludere dalla vita del partito, preferendo alla loro passione, al loro coraggio, alla loro voglia di combattere, la logica dei potentati elettorali locali. Non ci voleva molto a capire che dopo la discesa in campo nazionale di Nichi Vendola da una parte e di Beppe Grillo dall’altra, per l’Idv non ci sarebbe stata più trippa per gatti. Non serviva un genio a comprendere che le istanze locali di chiarezza, di trasparenza, di coinvolgimento di una nuova classe politica sarebbero alla fine implose se non assecondate, e invece che ha fatto Di Pietro? Ha lasciato ai signori delle tessere, e dei voti, campo libero, fino a farli diventare perfino coordinatori provinciali e regionali del partito in barba al nuovo che voleva democraticamente avanzare puntando sulle idee e sull’impegno e non sul portafogli. Il risultato di una politica-sintesi della peggiore stagione democristiana è sotto gli occhi di tutti, l’Idv sta chiudendo i battenti nonostante Di Pietro cerchi di cavalcare il successo di De Magistris a Napoli del quale non ha alcun merito. Al dissanguamento causato da Sel e dal Movimento 5 stelle, c’è da aggiungere quello procurato dalla ricostituzione dell’apparentemente scomparso Udeur. Clemente Mastella, come la gramigna, ha ritirato fuori le radici della sua conventicola che, non è un caso, avevano attecchito felicemente proprio nel partito di Di Pietro. Errori di strategia, errori di valutazione, eccessi di personalismo ed ecco l’Idv tornare ai risultati di quando è nato. Così com’è ora serve solo al suo leader indiscusso e ai suoi amici, agli italiani non più.

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