È sbarcato in libreria all’inizio di ottobre Il Paese che amo, capitolo conclusivo della “Trilogia Sporca dell’Italia” di Simone Sarasso.
Esattamente come in Confine di Stato (Marsilio, 2007) e Settanta (Marsilio, 2009), nel suo nuovo romanzo, l’autore popola la scena con un piccolo esercito di personaggi, le cui micro-storie(1), riportate attraverso il “classico” narratore extradiegetico onnisciente (che assume però, di volta in volta, non solo il punto di vista dei vari protagonisti, ma anche le loro cadenze, gli accenti, i registri e i dialetti), si intrecciano a formare la trama principale. Per questo, proprio come succedeva con Confine di Stato e Settanta, ricostruire a dovere la trama è assolutamente impossibile. Impossibile dar conto di tutti i personaggi e di tutte le loro avventure, della miriade di osservazioni dell’autore e dei protagonisti, dell’infinità di note di costume e oggetti “tipici” (essenziali non solo per l’ambientazione, ma anche per la ricostruzione degli anni ’80 nel loro specifico clima culturale, quantomai caratterizzato dagli oggetti di consumo(2)) che riempiono le pagine.
Bastino queste poche (e confuse) coordinate:
Anni ’80. Andrea Sterling, miracolosamente sopravvissuto alla bomba nella stazione di Bologna, è pronto a tornare a casa dopo un periodo passato a New York a leccarsi le ferite; intanto, nel “Paese che ama”, e che a breve lo accoglierà come nuovo capo dei Servizi, la giovane polacca Ljuba Marekovna, avvenente spia comunista, viene alla ribalta grazie alle sue scandalose performance; Salvo Riccadonna detto “Dracula” scala la cosca fino ai vertici; il socialista Tito Cobra avanza a grandi falcate verso la Presidenza del Consiglio, e l’intramontabile Omino manovra nell’ombra; a Palermo il giudice Ciaccia indaga su Cosa Nostra, mentre a Milano Domenico Incatenato prepara Tangentopoli; l’imprenditore Mauro Fedele, sempre a braccetto coi socialisti di Cobra, si è comprato un paio di televisioni private, ma forse, prima o poi, il mondo degli affari gli andrà stretto. E chissà che non decida di mettersi in politica…
Poche note e imprecise.
Ma poco importa, perché non è nelle numerose articolazioni, negli snodi dell’intreccio che va ricercato il senso di quest’opera, come quello dell’intera trilogia; il senso dell’operazione letteraria sta nel tentativo di costruire una contro-storia della nostra democrazia, dal caso Montesi, che apriva Confine di Stato, alla strage di Via d’Amelio, che chiude questo Il Paese che amo.
L’apparente omogeneità con i primi due romanzi della trilogia non deve trarre in inganno: dall’uscita di Settanta sono passati quattro anni; da quella di Confine di Stato ben sei. E si vede. Pur mantenendo un’unità di intenti e una serie di affinità stilistiche, formali e “organizzative” con i volumi precedenti (anche qui dopo la prima quindicina di pagine troverete i titoli di testa; anche qui articoli di giornale e altri documenti sono inseriti tra un capitolo e l’altro a fare da raccordo oltre che da complemento; anche qui la parola d’ordine è “ritmo” ecc.), questo romanzo è infatti segnato da alcuni stravolgimenti stilistici e strutturali. Tanto per cominciare, se in passato il punto di riferimento della trilogia era dichiaratamente la “Underworld USA Trilogy” di Ellroy, oggi Sarasso sembra decisamente più segnato dall’incontro con Il potere del cane di Winslow(3). Il cambiamento più radicale, comunque, è quello che riguarda l’approccio alla “contro-storia” di cui si è detto. Sì, perché, se prima l’autore sembrava avere in mente una ricostruzione più che plausibile, ai limiti del reale per quanto indimostrabile e condotta su prove indiziarie, e in buona misura si limitava, con comprensibile attenzione per i risvolti legali della faccenda, a camuffare i personaggi modificandone nomi e tratti, oggi si dedica a una molto più libera (talvolta palesemente ucronica(4)) illustrazione di dinamiche storiche verosimili in un’”inestricabile mescolanza di storia e finzione”. Questo nella convinzione che l’invenzione possa stimolare la “riflessione periodica sul paese deteriore, sul suo lato oscuro”(5).
Forse la postfazione (pp. 575-378), che ha l’aria di voler minimizzare la distanza tra i primi due elementi della trilogia e questo Il Paese che amo non basterà a convincere quegli stessi apocalittici che, messi a confronto con Confine di Stato, avevano sottolineato i rischi delle varie miscele di fiction e realtà(6); quello che è certo, però, è che con Il paese che amo, Sarasso è riuscito a chiudere con successo un’operazione letteraria ambiziosa e di grande portata, che concilia passione civile e incalcolabile potenziale d’intrattenimento.
Il Paese che amo, di Simone Sarasso, è edito da Marsilio.
(1)In realtà non tanto “micro”, considerato che i personaggi scelti sono giudici in prima linea nella lotta alla mafia, esponenti di spicco del crimine organizzato, politici, magnati ecc.
(2)Sarasso (classe 1978) è un figlio degli anni ’80, e quindi, nel raccontare il periodo in oggetto di incorrere nell’effetto nostalgia; fortunatamente, pur risultando, in almeno un paio di occasioni, pericolosamente attratto dal “lato oscuro della forza” (per esempio quando fa sì che un boss di cosa nostra regali a un picciotto, come segno della sua gratitudine, una consolle Nintendo; scelta poco realistica che sembra dettata solo dalla voglia di inserire la consolle), non cede alla tentazione di rincorrere l’effetto nostalgia, e riesce a non popolare la narrazione di antichi feticci e amori (si fa per dire) d’infanzia…
(3) Per i lettori (e gli autori) del genere, il vero avvenimento degli ultimi dieci anni è stato, più che l’uscita di Il sangue è randagio di Ellroy, la pubblicazione di Il potere del cane di Winslow. Sarasso, che a livello di citazioni dirette strizza l’occhio a L’inverno di Frankie Machine e al dittico composto da Le belve e I re del mondo, dimostra di aver apprezzato…
(4)Elezione di John Wayne a Presidente degli Stati Uniti d’America; strage di via D’Amelio posticipata al 1994 ecc. ecc..
(5) Simone Sarasso, Il Paese che amo, Marsilio editori, Venezia 2013, p. 576-577.
(6)Potenzialmente fuorvianti per chi non sia preventivamente informato sui fatti, almeno a detta degli apocalittici. C’è però un rovescio della medaglia: esiste la remota (ma non per questo trascurabile) possibilità che il lettore ignaro si lasci incuriosire dal romanzo decidendo, a lettura ultimata, di andarsi a documentare…