Oculus Rift rappresenta una delle ultime frontiere, se non addirittura la più avanzata, nel settore dell’intrattenimento videoludico, e non solo. Si tratta, infatti, di un set per realtà virtuale consistente in un casco/visore che fornisce all’utente una esperienza “tridimensionale” che va, almeno stando a chi ha avuto l’opportunità di provarlo, ben oltre l’esperienza 2D, per così dire, dello schermo o del monitor, e così “rischiando” di far aumentare in maniera esponenziale l’immersività delle applicazioni.
Il dispositivo è un progetto che prese avvio, forse non a caso, su Kickstarter, e in pochissimo tempo raccolse oltre due milioni e quattrocentomila dollari di finanziamento. E pensare che l’obiettivo era stato prefissato a “soli” duecentocinquantamila.
Di recente, è stata creata un’applicazione per Oculus Rift che quantomeno possiamo dire “singolare”: un simulatore di ghigliottina, creato da Erkki Trummal, André Berlemont e Morten Brunbjerg durante l’ultimo Exile Game Jam.
Neanche a dirlo, il principio di funzionamento è piuttosto semplice: il giocatore, che indossa, il casco, mette la testa all’interno della ghigliottina, ovviamente virtuale, e aspetta che la lama scenda. Qualcuno potrebbe parlare di inutilità. Non crediamo sia una categoria applicabile.
Piuttosto, sembra importante comprendere in che modo, e con quale portata, almeno in potenza, un dispositivo come Oculus Rift può modificare le percezione e la fruizione di ambienti virtuali. Per non parlare della varietà di applicazioni possibili nei più diversi campi dell’attività umana.
È proprio vero che, almeno in certi casi, il nuovo avanza.
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