Magazine Cinema
Regia: Robert Rodriguez, Frank Miller
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 102'
Attori protagonisti: Eva Green, Jessica Alba, Bruce Willis, Mickey Rourke, Jospeh Gordon-Lewitt
Il problema di Sin City: A Dame To Kill For è lo stesso di nove anni fa: ciò che funziona tra le pagine di un fumetto non è detto debba funzionare pure al cinema. Questo dibattito era molto interessante all'epoca del primo episodio, ogni stonatura era giustificata da un certo senso pionieristico del progetto. Anzi, questo problema di traduzione riempì di fascino il film. Divenne la vera essenza dell'opera. Nove anni dopo però, questo discorso ha ancora senso? Giusto per fare qualche esempio, ha senso la faccia triangolare di Marv, l'onnipresente voce fuori campo, che non rappresenta neanche una scorciatoia (come Charlie Kaufman insegna) ma solo una mera scelta di imitazione inutile ai fini della narrazione? Ha senso visivamente lasciare all'ombra di un personaggio il compito di uccidere qualcuno o cambiar colore di cose e persone un po' a caso, facendoci interrogare inutilmente sul perché?
Per neanche un attimo il film sembra “sperimentare” o fare ricerca. L'ultimo lavoro di Rodriguez piuttosto vomita l'originale e personale idea di noir dell'opera di Frank Miller. Andando oltre il remake e sfiorando la parodia.
Ovviamente questo non è il vero problema di Sin City 2. Il film del 2005 era convincente su tutti i fronti, non solo su quello della realizzazione tecnica di quella fantastica idea. Era avvincente e dinamico. Crudo, ironico. Sapeva esser pulp ma anche sexy. Il tutto con questo noir che alza il livello. Da film d'azione (o sperimentale) a opera d'arte completa.
La recensione potrebbe finire qua dicendo che tutto questo ora non c'è. Ogni personaggio è di carta nel peggiore dei sensi. Tutto è piatto e le parole a tratti ingombranti non aggiungono nulla in termini di caratterizzazione dei personaggi o di coinvolgimento emotivo. Tutto vuole ricordarci che stiamo guardando un fumetto anche se per assurdo i momenti più alti sono quelli in cui questa aspirazione viene meno, in certi rallenty che accompagnano i punti di maggiore pathos di molte scene e nella musica presente senza sosta per tutta la durata del film. Nonostante ciò non stiamo parlando di un disastro, ma solamente di una grande idea che una volta sdoganata avrebbe potuto fare dei passi avanti (magari dal punto di vista della sceneggiatura) anziché molti indietro.
Isaia Panduri
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