Vorrei iniziare questo primo paragrafo decantando l'amore che ho per le opere a fumetti di Frank Miller e come mi abbiano influenzato l'adolescenza. Vorrei citare gli albi di Basin City, la rinascita di Daredevil e quel capolavoro assoluto che è stato Il ritorno del cavaliere oscuro. Invece no. Lascerò da parte i miei amati fumetti e il mio amato autore [che poi che gli è successo? Le ultime foto messe in rete fanno intuire che non se la passi proprio benissimo...] per sacrificare tutto alla gnocca. Gnocca che corrisponde al nome di Eva Green, la conturbante attrice francese che fin dal suo esordio nel The dreamers di Bertolucci ha fatto sognare le platee di tutto il mondo. E che ha fatto sognare in maniera particolare anche il sottoscritto, perché sarà l'aria da psicopatica o l'immancabile nudo di quasi ogni film (Casino Royale, hai Eva Green nel cast e non la fai spogliare? Shame on you!), ma lei rappresenta quell'archetipo di femme fatale dalla quale sarebbe bello anche farsi ammazzare. E in tempi come questi, dove anche Scarlett Johansson ha ceduto al ricatto del nudo in Under the skin facendo svanire così quell'aura di mistero che aleggiava intorno alla sua bellezza, la bellissima Eva rimane una certezza assodata. O almeno, una presenza così memorabile da permettere anche a una belìnata come Age of an empire di essere ricordata. Certezza alla quale si sono aggrappati i produttori di questo sequel, a cominciare da una certa locandina e da una certa clip, perché sembra che sia stato fatto solo per sfoggiare la presenza della Green. E io perché credete che l'abbia voluto vedere?
Ritorna ancora la città di Basin city coi suoi protagonisti. Ritroviamo Dwight, prima che gli si cambiasse la faccia e che contribuisse a interrompere la tregua nella Città Vecchia, quando il suo cuore era legato a una particolare donna. Intanto Marv continua la sia vita dissoluta, Nancy pensa di vendicare Hartigan e un giovane in ascesa prova a sfidare il senatore Roark in una micidiale partita a poker dagli esiti disastrosi...
Da Sin city sono passati ormai dieci anni, dieci anni in cui ne sono accadute un po' di tutte. Rodriguez ha proseguito il suo percorso di cineasta e lo stesso ha fatto la Storia. Michael Clarke Duncan è morto, quindi anche se il suo personaggio di Manute è presente, è portato in scena dall'attore Dennis Haysbert. Devon Aoki è sostituita da certa Jamie Chung, mentre Rosario Dawson e Jessica Alba [ma queste due lavorano ancora? Non le si vede più in giro dopo la sovraesposizione di qualche anno fa] mostrano appieno tutti i segni dell'età, decretando uno smacco fisico-visivo che mi ha abbastanza destabilizzato - certo, dovrei giudicarle come attrici, ma un minimo di serietà la voglio mantenere. Manco Bruce Willis e Mickey Rourke sembrano in formissima e, nonostante le protesi e le cicatrici finte, i loro personaggi appaiono notevolmente imbolsiti. Un po' come tutto il film, a dire il vero, chirurgizzato da una post produzione di due anni che lo ha fatto uscire nelle sale oltre la data che si era pensata inizialmente, ma forse non se ne sentiva manco il bisogno. Perché le avventure che avvenivano fra gli sporchi e squallidi vicoli di Basin city erano state portate con una tecnica e una modalità che prima di allora non era mai stata usata, destando quindi molta curiosità per quella scelta stilistica. Tale decisione viene mantenuta anche un questo caso e, ironia della sorte, il marchio di fabbrica finisce proprio per stufare alla grande. Avevamo già visto la fotografia in bianco e nero, avevamo già visto i particolari che assumevano un colore a differenza di tutto il resto ed avevamo già visto le silhouette bianche su sfondo nero. Avevamo visto anche gli stessi personaggi, guarda un po'. Il guaio maggiore di questo sequel infatti è quello di non cercare mai di andare oltre, di non reggere confronto col primo (imperfetto) capitolo e, proprio per questo, finisce per annoiare altamente. Persino la struttura episodica è gestita abbastanza male, con un'introduzione che cerca di darci un nuovo benvenuto nella città del peccato con un personaggio di cui conosciamo già la fine, abusando della sua presenza in quasi tutte le storie e creando in certi punti dei bei problemi di continuity. La cosa verso la quale ero più curioso però erano le storie sceneggiate da Frank Miller in esclusiva per il film, ovvero quella del giovane giocatore d'azzardo e quella della vendicativa Nancy. La prima ha un inizio sfolgorante, dei dialoghi bellissimi e uno svolgimento magistrale ma, proprio sul più bello, regala uno dei finali più inutili e meh di sempre. Quella che chiude il film invece è a dir poco imbarazzante, troppo seriosa e, soprattutto, inutile, perché riprende in mano un personaggio che ha già compiuto il suo ciclo di maturazione, sovraesponendolo e quindi rendendolo ancora meno interessante, con quel fantasma di Bruce Willis che ti fa capire che l'andropausa non te la puoi risparmiare manco da morto. Gran parte dello spazio quindi è riservato alla storia che vede Eva Green protagonista, quella che da il titolo al film che... beh... non è male, ma Rodriguez sembra indeciso su cosa fare. Per un poco segue fedelmente la vignette di Miller, come aveva già fatto, però in molte occasioni cambia tutto, mantenendo il medesimo approccio e creando una gestione del ritmo davvero strana e scombussolata. Questo si respira anche nelle storie inedite ed è proprio questa presunta indecisione che rende questo film non brutto, ma mal gestito e a tratti davvero zoppicante, un po' come l'ultimo dolce del cenone di capodanno che non ci siamo risparmiati di mangiare per non sembrare maleducati, però proprio il dolce che poi ci ha causato mal di pancia. A dame to kill for è proprio questo, un boccone di troppo che, se preso troppo seriamente, rischia davvero di diventare indigesto.
Non pretendete troppo. Vedete questo film solo per ammirare le beate concessioni della Green, la quale si concede molto e molto bene. Poi in una scena c'è anche Lady Gaga, ma non so a chi può interessare.Voto: ★★