Virginia Fiume ha 30 anni e, milanese, ha vissuto a Roma, a Betlemme, a Palermo e a Londra. È scrittrice (coautrice di Voglio un mondo rosa shokking, edito da Newton Compton), blogger, e coordina il progetto editoriale S28Mag (consiglio a tutti di andare a dare uno sguardo). Con Virginia ci si insegue da qualche mese ormai su twitter e sui nostri blog. Era inevitable che prima o poi sarebbe finita nella rete di Scrittore Computazionale. Con un guest post.
Se hai letto almeno una biografia o diario di uno scrittore o di una scrittrice sai che esistono momenti in cui molti di loro non riescono a evitare di restare aggrappati sul bordo della pagina, bianca. Una paura senza tempo che in un’inchiesta pubblicata sul quotidiano online Affari Italiani è stata definita il (non) piacere di scrivere.
Visto il taglio scientifico di questo blog provo a dare tre possibili interpretazioni delle cause. E immaginare qualche possibile soluzione.
Le Paure dello scrivere:
1. Nomen Omen: la paura di definirsi scrittore
Prima ancora del timore di mettersi a costruire una narrazione c’è l’ingombro dell’etichetta. Nel 2006 ho avuto la fortuna di scrivere un libro con un’altra autrice, pubblicarlo online quasi per gioco e vedergli vendere, negli anni successivi, più di 40.000 copie. Ne hanno parlato, nel bene e nel male, ma qui è più importante soffermarsi sullo stato d’animo che mi ha pervasa per molti dei mesi successivi. Non dicevo a nessuno che avevo pubblicato, se non quando la mente era annebbiata da un po’ di alcol.
La causa? Negli anni l’ho individuata nel fatto di aver studiato Lettere Moderne. Troppe analisi e ipotesi su quel genere di domande che giusto Sartre si poteva porre con stile leggero: che cos’è un romanzo, chi è uno scrittore, cos’è la letteratura? Credo che sia stato merito proprio dell’autore di questo blog, di un suo commento a un articolo di Vanni Santoni, se dopo ben cinque anni sono riuscita a dirmi che sì, avendo l’abitudine di scrivere, il compito di farlo per lavoro in diverse forme e alcuni testi pubblicati alle spalle, potevo definirmi anche scrittrice.
2. Il secondo secondo me: la paura della critica
Passiamo con disinvoltura da Sartre a Caparezza. Tutti conoscono Fuori dal Tunnel, talmente semplice come ritmo e ritornello da farti quasi dimenticare di essere una bella presa in giro. Nel secondo album, Le Verità Supposte, c’era un’altra canzone passata un po’ troppo inosservata: Il secondo secondo me. Qualcuno ricorderà il ritornello: “Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”.
Perché il primo libro, come il primo post, come il primo articolo su un giornale sono la fusione tra l’istinto di chi ha sempre impresso inchiostro su carta per lasciare la sua traccia e le griglie di spazi e stili che ti vengono richiesti. Poi ti accorgi che ci sono persone che leggono. E magari lo fanno di lavoro. E hanno strumenti con cui analizzare, criticare. Che in senso etimologico vuol dire: “[arte o scienza di ] giudicare, secondi i principi del vero, del buono e del bello, le opere dell’ingegno inispecie quelle letterarie ed artistiche”(fonte: etimo.it). E allora basta usare i verbi sbagliati, scegliere parole troppo comuni, ritmi troppo poco poetici per finire risucchiati in quello che in uno degli ultimi numeri di Orwell Francesco Pacifico definì “il generone della narrativa italiana”. E nessuno prova piacere nel rendersi conto di far parte di un “generone”. Piuttosto si smette di scrivere.
3. La pigrizia: la paura di darsi una disciplina
C’è una celebre intervista, pubblicata su The Paris Review, molto menzionata e poco citata, che racconta di come Ernest Hemingway scrivesse stando in piedi, iniziando alle prime luci dell’alba e finendo subito prima di pranzo. Per poi andare a farsi una nuotata, o – sappiamo che non ce ne vorrebbe – una bevuta.
Nel 2005 Minimum Fax ha pubblicato Diario di una scrittrice. La raccolta dei diari di Virginia Woolf. È un’opportunità per fare compagnia alla scrittrice nelle sue mezzore dopo il tè. Questo era il tempo della sua disciplina. Oltre alla scrittura di romanzi e articoli, di qualunque umore fosse, la Woolf dedicava trenta minuti al suo diario. Tutti i giorni. La necessità di una tale costanza, fin ripetitiva, può diventare fonte di timore.
Come superare la paura della pagina bianca:
1. Mettici la faccia
Non importa che tu scriva per passione, per istinto, per lavoro. Non importa che tu abbia paura o solo idee confuse. Scrivi. O decidi di non scrivere. E allora vai a farti una passeggiata. Magari incontrerai una storia interessante osservando i quattordicenni che giocano a pallone nel parco e inizierai a scriverla già mentre pedali verso casa.
E, possibilmente, fallo con il tuo nome. O se usi pseudonimi scegline sempre e solo uno. Non lo impone nessuna forma di “etica del lavoro di scrittore”, è solo un suggerimento legato alla nuova politica di google. Si chiama real name policy ed è il meccanismo per cui occorre interrogarsi su come si gestisce la presenza delle proprie parole online, o meglio della propria autorialità. Inutile cercare di raccontare meglio di quanto abbia fatto Flavio Pintarelli su Doppio Zero cosa significa.
2. Sii umile
L’ultimo consiglio, da una che di paura di scrivere ne ha sempre troppa: non prenderti mai troppo sul serio. A volte la paura è solo la maschera di un eccesso di narcisismo. E l’umiltà è una grande dote. Diceva Elio Vittorini: “Io penso che sia molta umiltà essere scrittore. Lo vedo come fu in mio padre, ch’era maniscalco e scriveva tragedie, e non considerava lo scrivere tragedie di più del suo ferrare cavalli”.
Sei anche tu affetto dalla paura di scrivere? Quali sono secondo te le cause? E i rimedi? Se ti va, lascia la tua opinione nei commenti.
Ricercatori americani hanno scoperto un farmaco che, alterando la chimica del cervello, riduce le paure dei topi affetti da disturbi d’ansia. Almeno loro, i topolini, non avranno paura di scrivere… - L’immagine è tratta da qui
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