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Tutte queste cose sono nitide nella mia mente, frammenti che cerco di mettere insieme, con scarso successo, per ricostruire ciò che mi rimane di lui. Non sono molti, infatti, i ricordi rimasti intatti. Un po' perchè per oltre la metà di quei 17 anni , non ero consapevole del loro valore, del poco tempo che avrei potuto trascorrere con lui; un po' perchè ero un'adolescente concentrata a scoprire le meraviglie del mondo, del corpo, le pene della pubertà, dell'amore, del mondo che non ti capisce (o almeno, così si crede). La disattenzione, l'illusoria convinzione che lui ci sarebbe stato per molti anni a venire, la sua mente granitica che, a dispetto di un corpo leggermente affaticato, sembrava dovesse rimanere imperitura a pensare, ragionare, ricordare fino alla fine del mondo, mi hanno portata a non dare il giusto peso alle cose lo componevano, che gli ruotavano attorno, che facevano di lui un animo incredibilmente puro.
Ora, che di anni ne ho 27, penso a quanto meno univoci sarebbero stati i suoi discorsi verso di me se solo avessi avuto il tempo di crescere; penso a come avrebbe potuto svelarmi il mistero che lega i numeri alla vita, la matematica alla filosofia; penso a come i suoi racconti sulla guerra, avrebbero spaccato il mio cuore a metà, potendo comprenderli pienamente; penso alle sue frasi in latino, che tuttora non ricordo, che tuttora non saprei tradurre; penso a tutte le cose che sapeva, della vita, delle persone, a tutte quelle conoscenze divenute polvere insieme a lui. E penso anche che mi dispiace che lui non abbia potuto vedere la donna che sono diventata. Non che ci sia qualcosa in me di cui andare particolarmente fieri, mi dispiace solo che se ne sia andato vedendo solo l'acerbità, il potenziale inconsapevole e inespresso, avendo visto una porzione di me che mi relegava, inevitabilmente, in una sfera fanciullesca. Se potessi avere un solo giorno ancora, uno solo, gli chiederei di parlarmi della sua gioventù, dei suoi pensieri più profondi, di ciò che, secondo lui, è indispensabile che io sappia nella vita. E lo lascerei parlare fino a che si può. Ascolterei la sua voce liquida come il mugghio del mare, guardando il suo profilo fiero volgersi verso l'infinito. E gli direi che gli voglio bene. Non gliel'ho detto abbastanza. Forse non è mai abbastanza.Qualche anno prima di morire, si era imbarcato in un'impresa titanica: ricostruire l'albero genealogico di famiglia. Aveva iniziato da noi nipoti, risalendo a non so quali avi, attribuendo ad ognuno un numero che corrispondeva ad una scheda identificativa, aggirandosi per archivi anagrafici dei vari comuni alla ricerca di chi prima di noi aveva indossato, anche parzialmente, il cognome che non porto ma è nel mio sangue, a chi aveva lasciato nel nostro DNA le orme del proprio passaggio, a chi non conoscevamo neppure per nomina. Il risultato, incompiuto, è appeso nel corridoio, a casa di mia nonna. Una serie di cerchietti bianchi contenenti un numero è incorniciata di un legno semplice e sottile, su fondo color crema;ogni numero racchiude un nome, una storia, un brandello di sangue che lega ogni numero agli altri in maniera silenziosa e ineluttabile.Era una gran persona, mio nonno.
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