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Sinfonia d’autunno – Gabriele Lavia (teatro)

Creato il 02 marzo 2015 da Maxscorda @MaxScorda

2 marzo 2015 Lascia un commento

Sinfonia d'autunno, teatro Lavia
"Sinfonia d’autunno" e’ per me qualcosa di piu’ di un semplice film, va oltre l’intrattenimento per quanto elevato esso sia. In esso il vertice di uno dei piu’ importanti cineasti del secolo scorso, laddove il cinema e’ un segmento all’interno dell’opera di un grande artista e un grande uomo, un uomo dalla vita complessa e di esperienze ancora piu’ complesse.
Il rispetto e l’ammirazione per Bergman, suscitano in me un tale rispetto che difficilmente avrei accettato una riscrittura da un nome meno importante di Lavia o meglio dovrei dire, da un regista importante quanto Lavia e con la sensibilita’ di Lavia. "Sinfonia d’autunno", traccia l’iperbole del confronto tra madre e figlia, mescolando in esso precise dinamiche femminili, compito improbo senza una precisa conoscenza della Donna, sia essa femmina, madre o figlia. Per arte ed esperienza, Lavia e’ stato all’altezza, non senza una deviazione programmatica del testo, declinato al dramma dell’artista.
Io resto fedele alla tragedia di due donne, una madre che voleva essere figlia e una figlia che voleva essere madre, non desiderandolo la prima, senza poter essere genitore la seconda. Incrocio di anime, di persone, di ruoli e affetti, quegli stessi incroci che Bergman esalta confondendo la finzione con la realta’, mescolando se’ stesso padre e partner della Ulmann, madre di sua figlia che nel 1978 era adolescente e nella finzione figlia della splendida Ingrid Bergman. Non solo, in "Sinfonia d’autunno" c’e’ soprattutto il Bergman figlio di quel pastore protestante che nel bene e nel male tanto ha inciso nella vita del regista e nello scontro delle due donne, v’e’ anche lo scontro ribaltato al maschile col padre, perche’ i conflitti, con accenti diversi, in fondo sono i medesimi.
Il padre torna anche nella figura di Viktor, il marito di Eva, anch’egli pastore protestante ma al contrario del genitore, uomo silenzioso, comprensivo e passivo percio’ solido riferimento per la mente dii Eva, legata con un filo sempre piu’ sottile alla ragione, in pratica il lato buono della figura paterna.
Il testo di Lavia formalmente si discosta poco e nulla da quanto fece Bergman, ovvi aggiustamenti dovuti al palcoscenico, piu’ forza al personaggio di Viktor interpretato da Danilo Nigrelli, enfasi sulla madre Charlotte che la signora del teatro Anna Maria Guarnieri, restituisce amplificata per necessita’ e per scelta e infine la figlia, una Valeria Milillo la cui interpretazione piu’ si discosta da Eva della Ulmann portandola in scena piu’ nevrotica che repressa, stato emotivo che sposta completamente il confronto tra le due donne.
Troppo il gap tra gli attori per tentare un confronto diretto, meglio separarli con i due testi
In conclusione non posso dirmi deluso ma riconosco il mio limite di restare troppo ancorato all’originale e l’incapacita’ di sganciarmene senza troppi confronti. Non mi e’ piaciuto lo spostamento freudiano di Lavia che  smarrisce il dramma in una solitudine dei protagonisti diversa da quella voluta da Bergman, l’impossibilita’ di risolvere che in Lavia si esaurisce nella psiche mentre per il regista svedese esplode in scena quando e’ troppo tardi per ognuno sfuggire alla propria natura, perdendo in fondo la vera tragedia dove tutti sono vittime, inclusa quella Charlotte che per Lavia e’ fulcro e origine di un diffuso male di vivere che alimenta e distrugge l’arte.
Non so dire che valutazione avrei dato senza conoscere l’originale, certo e’ che nella versione di Lavia, della "sinfonia" (ma bisognerebbe dire del "concerto") resta solo l’autunno.


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