Siria come Palestina: una fabbrica di Profughi

Creato il 03 maggio 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43                                                                                                                                                                          Google+

Verso i Palestinesi del Libano -
24 Aprile / 1 Maggio 2014 Campi Profughi Palestinesi

Fare della Siria un’altra Libia, non tanto facile… pensavo nel 2011. In Libia è stato rovesciato Gheddafi e si è gettato il paese nel caos. In Siria il regime resiste, si trasforma, abbandona il partito unico e appronta le elezioni, ma il paese è diventato un mattatoio dal quale chi può fugge ad ogni costo.

La “casa” di Iman e dei suoi bambini

Me l’hanno ripetuto ogni volta che ho messo piede in un campo di Profughi Palestinesi in Libano “Ora dobbiamo pensare anche alle necessità dei profughi siriani”.  In quelle situazioni già sovraffollate sono arrivati, infatti, i nuovi disperati: siro-palestinesi che nei campi libanesi hanno amici o parenti, ma anche cittadini siriani ai quali le organizzazioni locali non lesinano la solidarietà. Certo è possibile che a volte nascano tensioni fra  i Palestinesi dei campi  e i cittadini siriani perché le norme in vigore creano disparità: mentre i cittadini siriani sono registrati presso l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu, UNHCR,  ai Palestinesi questo diritto è da sempre negato [vedere : La diaspora dei Palestinesi: la più numerosa e frammentata ] . A livello pratico comporta che i cittadini siriani in Libano possono trovare senza ostacoli legali un lavoro, diventando concorrenziali con i Palestinesi, sottraendo loro quei pochi lavori disponibili accettando retribuzioni inferiori.  Il flusso ha superato ampiamente il milione di persone nel piccolo paese dei Cedri e si può immaginare quale profondo stravolgimento stia iniziando nella società libanese.  

Incontro Iman in un campo di Profughi Palestinesi del Sud del Libano. E’ una graziosa e mite donna siro-palestinese di 35 anni, vedova, madre di quattro bambini. E’ fuggita dalla Siria dopo che il marito e il fratello sono morti sotto una bomba che ha centrato l’ala della casa dove si trovavano. Un parente le ha pagato il biglietto del bus che l’ha portata con i figli fino al campo in Libano. Ha trovato ricovero in un garage (tre pareti in muratura e una in legno compensato per separare dalla strada) al costo mensile di 300 dollari. Il proprietario è un palestinese del campo, evidentemente economicamente progredito al punto di possedervi una casa in muratura. Iman era sarta e il marito aveva un lavoro, ora è completamente priva di mezzi. Dovrà lasciare questo costoso ricovero di fortuna e l’unica sua speranza è riposta nell’aiuto dell’associazione Beit Aftal Assumoud , ma anche questa organizzazione è in difficoltà nel corrispondere alle esigenze di un numero crescente di profughi .
Nel video Iman racconta una parte della sua storia; si esprime in arabo e ha chiesto di non riprenderla in viso; è la coordinatrice di Assumoud, Fatima Khaizaran, a tradurre in inglese le sue parole.

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L’emergenza profughi dalla Siria ha assunto livelli che nell’area mediterranea sono da annoverare fra gli eventi epocali registrabili nella storia. La maggior parte delle persone in fuga si è fermata nelle nazioni più prossime, Libano  Turchia (che ha costruito un muro per ferlarli)  e in Giordania (l’inferno di Zaatari ). Gli altri si sono spinti  più lontano.
Nel Maghreb la solidarietà arabo-musulmana fatica a contenere le pulsioni xenofobe nelle porzioni più misere della popolazione; dinanzi alle moschee di Rabat i mendicanti locali protestano perché i fedeli sono più “generosi” con i Siriani.
In Europa gli stati pongono limiti e si ostacolano vicendevolmente nel consentire gli spostamenti dei richiedenti asilo. Le regole della UE impongono che la richiesta di asilo sia fatta nel paese di arrivo, non di destinazione. Accade dunque, per esempio, che la Francia conceda asilo a profughi che vogliono andare in Inghilterra, ma poi le autorità britanniche li fermano al confine.  E’ accaduto in queste ore: un gruppo di profughi è stato bloccato a Calais in attesa di un estenuante controllo – caso per caso – da parte delle autorità britanniche.  

Vivere in Stazione Centrale a Milano

L’Italia è per molti siriani solo un punto di approdo all’Europa, non la destinazione finale. Questo significa per loro una scelta tra opzioni egualmente drammatiche. Presentare il documento d’identità, compilare il formulario, restare in una non definita attesa della concessione che permette di lasciare il paese e dirigersi dove parenti, amici, opportunità sociali inducono a coltivare speranze.  Oppure strappare i documenti, diventare clandestini, cercare di passare in qualche modo le frontiere, ma, come la Gran Bretagna, la Francia si è irrigidita ed ha aumentato la sorveglianza sui treni in arrivo da Ventimiglia. OVVIAMENTE occorre l’istituzione di un corridoio umanitario, OVVIAMENTE l’Unione Europea è inerte. Al meglio promette fondi all’Italia, fondi che quand’anche arrivassero stasera non si trasformerebbero seduta stante in centri di accoglienza per tutti quelli che sono accampati qua e là in attesa di aiuto.  Il comune di Milano ha esaurito le strutture di accoglienza disponibili e la Stazione Centrale è diventata essa stessa un rifugio per qualche centinaio di persone, in balia degli sciacalli che promettono viaggi “sicuri”, di rapinatori, di strozzini o truffatori che offrono un tetto, spesso inesistente. Fenomeni non nuovi in nessuna realtà.

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