Riceviamo da Sergio e volentieri pubblichiamo
Questo episodio mi è riaffiorato nella memoria quando ho ascoltato una recente intervista ad alcuni abitanti di un villaggio druso delle alture del Golan. Questi territori una volta appartenuti alla Siria, sono stati conquistati dallo Stato di Israele nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 e successivamente annessi, con conseguente estensione a tutti gli abitanti del Golan della cittadinanza israeliana.
L’intervista riguarda l’attuale guerra civile siriana che in due anni ha oramai fatto quasi centomila vittime. Agli intervistati viene chiesto un parere su quanto sta accadendo in Siria e in particolare su come sta gestendo la situazione il presidente Assad.
In un ebraico fluente, ma con chiare inflessioni arabeggianti, gli intervistati (persone sulla sessantina) senza alcuna titubanza manifestano il desiderio che Assad prevalga e che il Golan torni sotto sovranità siriana, anche se devono ammettere la situazione tragicomica caratterizzata dalla maggiore sicurezza, tranquillità e pace in cui si trovano attualmente sotto “occupazione israeliana”. Il timore però che emerge è comunque legato al pericolo “islam-radicale” che potrebbe riaffiorare se Assad dovesse cadere.
I ragazzi più giovani, quelli nati dopo il ’67, molto pragmaticamente dichiarano, in un ebraico perfetto, di essere totalmente indifferenti rispetto all’esito della guerra civile.
Italiani in America, siriani in Israele, ma anche italo-corsi in Francia, altoatesini in Italia, italo-istriani in Jugoslavia (o quello che ne rimane). La situazione sembra ripetersi nella storia.
Da una parte mi verrebbe di augurare a tutti coloro che disprezzano o criticano la sovranità dello Stato dove vivono, di far presto ritorno ai loro paesi di origine, malgrado quei paesi siano governati da dittature o distrutti da guerre civili; dall’altra sono sicuro che il passare del tempo e le condizioni di pace e la possibilità di godere di tutti i diritti garantiti da uno stato libero e democratico faranno sì che le prossime generazioni si sentiranno sempre più israeliane, americane, italiane, iugoslave, francesi e non più semplicemente “ospiti” in terra straniera.