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Sistemi differenti o differenze di sistema

Creato il 09 febbraio 2013 da Greeno @greeno_com

Dopo un mese di attività sul web e diversi mesi dedicati all’allestimento del progetto editoriale, abbiamo voluto ritagliarci un pubblico momento di riflessione. Per fare il punto, mettendo sul tavolo le lezioni che i nostri ospiti e chi ha collaborato con noi in questa prima fase ci hanno suggerito. E per rinnovare ai nostri occhi la trasparenza dei fatti e la suggestione che anche dalle nostre pagine passerà un’importante porzione della nuova epoca della comunicazione ambientale in Italia.

Fare comunicazione ambientale non è semplice. Per due ordini di motivi: di forma e di contenuto. Cosa può dirsi comunicazione ambientale e cosa no? Quali criteri semantici o quali promesse di risultato istituiscono la certificazione della comunicazione ufficialmente ambientale? È possibile e di qualche utilità mappare la comunicazione ambientale (hic sunt leones)? Riflettendoci, è una questione di fondamenti epistemologici, di disciplina.

La sovraesposizione comunicativa del tema ambientale impone che per decifrarne e declinarne gli esiti sia necessario un metodo, uno strumentario che renda conto della sua complessità e la riduca. Oppure una regola fortunata che, come per la comunicazione farmaceutica, ponga criteri cogenti di classificazione.

No, a pensarci bene, qui non è possibile. La comunicazione ambientale è una cosa differente.

Eccoci arrivati al punto. Ecco trovata la parola che può fare al caso nostro. Differenza. Perfettamente al caso, secondo noi.

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L’articolazione fra elementi differenti di un sistema crea il senso (parliamo infine per differenze rilevanti di fonemi). Ma nel caso della comunicazione ambientale, insieme di ‘testi’ ciascuno dotato di coerenza interna ma ben lontani, secondo noi, dall’essere un universo sistemico (una sintassi esterna), quali differenze producono significato? Proviamo a metterne una e a coltivarne le possibilità di scarto, le discriminanti.

La comunicazione ambientale è differente dalla comunicazione sostenibile, secondo un assioma generale che potremmo predicare più o meno così: comunicare l’ambiente è differente dal comunicare per l’ambiente. Quindi, da un punto di vista organico, lo studio dei ‘testi’ della comunicazione ambientale è differente dallo studio dei ‘testi’ della comunicazione sostenibile, secondo uno scarto disciplinato, più che dalla sintassi o dalla semantica, dalla pragmatica di cui è responsabile il discorso (sia esso il discorso della marca, dell’istituzione, della scienza). Questo pone un problema non da poco: diventa comunicazione sostenibile solo quella che ‘pragmaticamente’ si mette nelle condizioni di essere verificata, sanzionata, misurata, confrontata, attivando inoltre presso il proprio destinatario dei modelli di comportamento e presso il sistema a cui si riferisce (l’ambiente di cui parla, oltre all’insieme di testi in cui è inscritta) dei modelli di relazione. La difficoltà, dunque, è nel riconoscere i comportamenti sostenibili attivati o suggeriti. Si tratta pur sempre di processi di interpretazione o di verificabilità e autorevolezza delle fonti. Ma ci preme dire che ‘ambientale’ e ‘sostenibile’ sono due cose diverse e, sulla scorta di questa quota pragmatica, qualche distinzione è possibile farla.

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Per insistere sul tema della differenza, la comunicazione sostenibile è quella che, attraverso gli scarti di cui sopra, opera un tipo di comunicazione “differenziata” all’interno di un contesto (quello più macroscopico della comunicazione ambientale) in cui il ricorso all’ambiente genera comunicazioni sempre più indifferenziate.

La comunicazione ambientale, prima di differenziarsi in comunicazione sostenibile, è prima di tutto un patrimonio meraviglioso di differenze. Anche in questo caso, per tradurla in sistema, sarà necessario riconoscere tutte le differenze ed organizzarle ‘foneticamente’ in elementi rilevanti. Questo per dire che è comunicazione ambientale quella della scienza, del giornalismo,  dell’editoria, dell’arte, della semiotica, dell’economia, dei new media, delle istituzioni, delle organizzazioni. Allo stesso modo. E guai a pensare che alcuna di queste discipline abbia più diritto delle altre a guidare il convegno delle competenze e a moderarlo. Qui non vale il retaggio suburbano ‘io porto il pallone e io faccio le regole’. Non avrebbe senso.

Allora l’unica comunicazione ambientale possibile – e quindi fertile abbastanza da generare comunicazione sostenibile – sarà quella costitutivamente fondata sul concetto di differenze. Al plurale, perché oltre alla differenza intesa come ‘diversità’, c’è un’altra definizione di differenza che diventa vitale riuscire a seminare. Come arbitro, semmai, della partita. È la nozione di differenza come ‘rinvio’ o ‘rimando’ a qualcos’altro, etimologicamente figlia dello stesso verbo. E questa accezione ha un valore inestimabile. Perché, se si vorrà costituire il sistema della comunicazione ambientale e provare a disciplinarlo, le uniche possibilità sono il riconoscimento della differenza dei discorsi e dei metodi e, soprattutto, l’attivazione di un circuito virtuoso di rimandi interdisciplinari, nel quale il discorso dell’impresa – ad esempio – interroghi i discorsi della scienza. Viceversa, e secondo tutte le combinazioni possibili.

Noi crediamo che questa sia l’unica strada possibile. E contribuiamo a costruirla.


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