Troppe sensazioni! Non so neanche da dove iniziare, quindi vado a caso..
Dopo il traumatico viaggio di avvicinamento (16 ore totali, che se andavo a Sidney facevo prima), e dopo aver deciso che io e la Scandinavian Airlines non andiamo d’accordo, mi sono ritrovato in questo lurido studentato: palazzi stile Berlino Est, ascensori senza porte, cucine inguardabili e una spoglia camera che mi avrebbe ospitato per i successivi cinque mesi.
L’impatto non è stato dei migliori, complici la stanchezza e il nervoso per i voli prima ritardati, poi spostati e poi persi (e niente di tutto questo per colpa mia, sia chiaro). Ma è stata anche colpa mia: come spesso mi succede mi ero fatto troppo viaggi mentali preparatori (e in 8 mesi di attesa, dalla domanda erasmus alla partenza, forse è anche inevitabile), e come conseguenza avevo già nella mia testa tutto un album fotografico di come mi aspettavo dovessero essere le cose. Ma ovviamente gli stereotipi sono per definizione generici e funzionano poco nella realtà. E quindi sì, gli studentati di un paese perfettino come la Svezia possono essere sporchi come Piazza Verdi. Soprattutto se 10 palazzi di 8 piani, che ospitano in totale 400 persone, sono gestiti interamente dagli studenti, senza un custode che sia uno! Forse è già un miracolo che siano ancora in piedi, con queste premesse.
Quindi, prima lezione: mai farsi troppe aspettative, tanto vengono sempre disattese (nel bene e nel male)!
In ogni caso, dopo il primo traumatico giorno le cose non potevano che migliorare. Giorni di international meeting e big parties hanno velocemente migliorato l’umore, alzando esponenzialmente il tasso alcolemico come effetto collaterale.
Il primo giorno è stato terapeutico conoscere un ragazzo italiano, che ha reso meno gravoso espletare le prime incombenze burocratiche e di mera sopravvivenza. Non avete idea di quante cose ci siano da fare in una situazione del genere: è come cominciare una vita da zero, con una valigia piena di vestiti e un bancomat come unici beni materiali.
Quindi incontri con l’exchange coordinator, viaggi all’ikea per comprare piatti a 80 cent l’uno, ricerca di adattatori per il computer (perchè in Svezia ci sono solo spine tedesche, e secondo voi mi ero preoccupato di vedere se i miei caricatori erano compatibili, prima di partire?), prime timorose spese nei supermercati, ecc. ecc.
La cosa comica è che fra tutte queste necessità l’unica davvero complicata è stata quella che mi sembrava la più semplice, cioè poter usare internet.
Per avere l’account ho dovuto spedire un foglio compliato e firmato ad un ufficio, che poi ha creato il mio account e mi ha rispedito le credenziali per posta (ordinaria, non elettronica, visto che sono informazioni riservate). Ok, niente di terribile, ma visto che tutta la vita sociale e accademica gira intorno all’utilizzo di internet, stare cinque giorni senza è stato abbastanza frustrante..
Nel frattempo si è iniziato a formare un curioso amalgama di personalità diversissime fra loro, che forse in una situazione normale non avrebbero motivo di formare un gruppo unito. Ma qui siamo tutti lontani da casa, con la mente aperta e spogli dalle nostra abituali barriere. Ognuno ha la voglia (e diciamolo, il bisogno) di conoscere nuova gente, intrecciare relazioni e riempire piano piano la sua vita ad Uppsala.
Ed ecco che magicamente si trovano insieme gli olandesi sbevazzoni, le francesi morigerate, i canadesi casinisti, gli italiani che straparlano nonostante il loro merdoso inglese da scuola media..
E non si può dire che qui manchino le occasioni per divertirsi e fare baracca. Quando si parla di feste erasmus tutti pensano (giustamente) alla Spagna, come esempio di baldoria perpetua.
Ma anche in Svezia non si scherza. Forse è Uppsala ad essere particolare, in quanto città che vive buona parte intorno all’università (180mila abitanti e 40mila studenti, fate voi..), ma è incredibile come ogni sera ci siano almeno tre o quattro feste in giro per la città, con centinaia di ragazzi ubriachi che ballano dalle 7 di sera alle 3 del mattino. Potenzialmente uno potrebbe stare qui per 150 giorni (5 mesi, cioè un semestre) e andare a 150 feste.
E qui i tocca accennare alle “nations”, queste strane istituzioni che regolano tutta la vita sociale universitaria di Uppsala. Sono praticamente un misto fra confraternite e associazioni studentesche, ma la definizione non rende giustizia. Ce ne sono 13 in tutta la città, la più piccola ha ca. 500 membri mentre la più grande oltre 7000, e sono situate in alcuni degli edifici più grandi, antichi ed eleganti della città. Ognuna ha il proprio pub aperto ogni giorno (con centinaia di birre in listino, hamburger e paninivery cheap, servizio invidiabile), bar/ristorante che propone pranzi a prezzo fisso e la “fika” pomeridiana (non ridete, la fika è il nome di una sorta di merenda pomeridiana a base di caffè e dolcetti, che qui è praticamente un’istituzione, come il tè delle cinque inglese), biblioteche dove studiare e prendere in prestito libri, squadre sportive, gruppi musicali, fotografici, cori, servizio d’alloggio per i membri, club serali due volte alla settimana con dj set e musica dal vivo.
E la cosa incredibile è che tutto questo viene gestito dai membri, che prestano il loro tempo aggratis. Sto ancora cercando di capire come un pub come quello della Norrlands Nation possa funzionare con il lavoro volontario degli studenti, quando certe sere ci sono sedute contemporaneamente una cosa come cento persone, a cui venongo serviti relativamente in fretta hamburger fantastici, patatine e una quantità industriale di ogni tipo di birra.
Come possa esserci una tale organizzazione ed efficienza ancora non me lo spiego.
Però le nations sono davvero una figata, e non è esagerato dire che senza di esse la città di sera sarebbe letteralmente morta.
Per ogni studente è obbligatorio essere iscritto ad una di esse, anche se in realtà non è importante quale, perchè con la tessera di una si può entrare in tutte le altre. L’unica differenza è che nella propria nation non si paga l’ingresso alle feste, ma alla fine uno sceglie quella che gli sta più simpatica, senza troppe paranoie. Alcune sono più snob, altre più sfattone, alcune prediligono la musica techno, altre sono più culturali, ecc.
Fatto sta che le feste sono davvero pazzesche, bellissima musica, gente fuori di testa, consumazioni economiche e ottima compagnia. Non sono mai stato un grande appassionato di discoteche, ma qui ci si diverte proprio!
E questa immagine può darvi un’idea abbastanza chiara del livello delle serate.
Ah, poi c’è una aspetto fondamentale di queste serate da tenere in conto: qui le feste iniziano prestissimo, intorno alle 7-8 di sera. Ed è un’ottima cosa, perchè in questo modo intorno a mezzanotte uno ne ha già abbastanza, e così evita di fare mattina ed essere un cadavere il giorno dopo. E questo permette a tutti di uscire anche infrasettimanalmente, cosa non da poco. E inoltre ho notato che riguardo alle lezioni la gente è molto responsabile, sono tutti molto attenti a non perderne, a meno che non sia proprio inevitabile. Mi pare che qui le considerino in modo diverso da noi, non le vedono come una cosa facoltativa, ma come se fosse scontato andarci. Forse perchè gli esami sono costruiti molto intorno a homework, papers e lavori di gruppo, e quindi non andare alle lezioni ti taglia fuori da tutto, anche dalla possibilità di prendere un buon voto. Mi piace molto come mentalità.
Poi che dire, l’ekonomikum (il dipartimento di business & economic, intorno al quale gira tutta la nostra vita universitaria) è stupendo: enorme, mille postazioni studio, aule impeccabili, professori super disponibili (e che ti rispondo alle mail!). Qui l’efficienza svedese è palese, al contrario di Flogsta, e ti fa sentire dannatamente invidioso pensando alle nostre condizioni.
Il mio inglese è ancora abbastanza ballerino: anche in questo frangente mi aspettavo di essere in condizioni migliori, nel senso che credevo di sciogliermi dopo qualche giorno. Invece è incredibilmente palese il divario fra i “mediterranei” (italiani, francesi, spagnoli, greci..) e i “nordici” (tedeschi, olandesi, scandinavi) nel parlare inglese. Loro sono dieci volte più sciolti di noi, nella costruzione delle frasi, nella pronuncia, nel vocabolario..
Ammetto di sentirmi un po’ idiota, quando mi rendo conto di dover pensare ogni frase, facendo al contempo un sacco di errori.
Ma insomma, sono qui per questo, sono sicuro che migliorerà con il passare delle settimane!
Ho scritto un vero papiro, lo so, ma per riversare la prima settimana di erasmus su una pagina non bastavano poche righe. E ho raccontato un decimo di quello che meriterebbe di essere raccontato.
Spero di recuperare più avanti, ora che la vita accenna a tranquillizzarsi un attimo, dopo questi primi sette giorni intensissimi.
Anyway, Uppsala I love you.
p.s. “skål” è la parola con cui si brinda in Svezia. L’unica che ho imparato insieme a “tack”, che vuol dire “grazie”.
Ma ho imparato prima skål.