Magazine Cultura

Skunk Jukebox: nuova edizione

Creato il 03 dicembre 2015 da Cicciorusso

Skunk Jukebox: nuova edizione

Ritorna Skunk Jukebox, la rubrica nella quale si provava a dare, con una certa tempestività, informazioni e opinioni sulle ultimissime anticipazioni, di singoli e videoclip, che popolano, a volte infestano, l’internette metallaro; e ritorna potente, dunque, a cavallo della nostra proverbiale indolenza, ma mutata di pelle in un vero e proprio jukebox, o playlist se più vi aggrada, di quanto, vecchio e nuovo, sta girando in questo preciso istante nei nostri iPad, iPhone, smartphone, PC, stereo, lettori mp3, lettori ciddì, dichi ottici, musicassette, Stereo8, giradischi, grammofoni, fonografi, carillon, e su cui i due neuroni che ci rimangono e che ormai vanno a ruota libera non riescono ad articolare una recensione che si rispetti, ma che nemmeno sarebbe giusto relegare al più totale oblio.

profan
Che poi, a volerne fare un discorso ponderato, intendo quello se il black metal vada preso seriamente oppure se sia anche lecito scherzarci su come fosse un qualsiasi fenomeno di costume, si rischia di passare per dei disagiati o per ‘poco trve’. C’è gente che ci scrive i libri sull’estetica e la filosofia del bm e che si prende molto sul serio, come pure, senza assimilare gli uni agli altri, c’era gente che ammazzava altra gente. Ma una via di mezzo è plausibile? Come faremmo sennò a distinguere ciò che è cvlt dai prodotti dell’abuso di psicofarmaci? Qui, nelle nostre fila, ci abbiamo anche un dottore in Sociologia che sul black metal ha scritto la tesi di laurea, che io ho pure letto e trovato interessante. Quindi, ora non si capisce bene se il più ‘strano’ sia lui che ha scritto suddetta tesi o io che l’ho pure letta tutta e trovata di mio gradimento. Ovviamente non sveleremo il nome di questa persona, che io rispetto tantissimo perché non avrei mai avuto il coraggio di laurearmi con una tesi in sociologia del black metal, ma, insomma, se ci seguite da un po’ potreste pure averlo intuito. Questo per dire che rispetto tantissimo anche i Kampfar ma che riesco sempre meno a prendere sul serio chi fa ancora black metal in un certo modo (ovvero con la medesima
mellom
attitudine di quando aveva vent’anni di meno), o forse non l’ho mai preso veramente sul serio perché per farlo devi, per l’appunto, essere disagiato di tuo oltre il minimo sindacale e comunque poco provvisto dell’opportuna ironia. Il dubbio, del resto, si insinua dove c’è spazio per l’interpretazione e se in Profan [play] di spazio ce n’è in abbondanza, in Mellom Skogkledde Aaser [play] non ce n’era neanche un po’. Questo significa che dove è presente l’ispiratissimo genio malefico del black metal, e non un suo surrogato o qualcosa che vi si avvicini, non esiste né ragionamento, né interpretazione, né niente di niente ma solo malessere, disagio vero e ammirazione incondizionata per essi. Senza tirar fuori gli esistenzialisti, basta ricordare cosa insegnava il professor Bellavista, che distingueva due tipi di persone, quelli che puoi rappresentare con un punto interrogativo e altri con un punto esclamativo; se il dubbio, il punto interrogativo, è il bene e la certezza, la fede incrollabile è il male, il black metal deve essere per forza il male, che esclude il dubbio.

varathron
Il nome Varathron rappresenta ancora il male, per esempio. Con esso si sigla uno degli EP più interessanti di quest’anno (i migliori restano quelli dei Ne Obliviscaris), The Confessional of the Black Penitents [play], che presenta tre brani nuovi di zecca più qualche esecuzione live di brani tratti dal primo full, His Majesty at the Swamp [play] (Unholy Funeral), da Walpurgisnacht (Cassiopeia’s Ode), album di cui ricorre il ventennale, uno tratto da una demo e uno dall’ultimo Untrodden Corridors of Hades (la bellissima prima traccia Kabalistic Invocation of Solomon [play]). I pezzi nuovi spaccano ed è un peccato che non ne abbiano aggiunti altre tre dello stesso livello, così non stavamo qui a dirci quanto era fico questo EP ma forse stavamo recensendo uno dei più bei dischi dei greci. Due parole sull’ultimo disco solista di Chris Cornell? Ma anche no. L’ultimo dei Lycia [play]? Che ve lo dico a fare: è bello è glaciale quanto il precedente. Due righe sull’ultimo album del progetto parallelo di Christopher Bowes [play] degli Alestorm? Beh, qui è quantomeno opportuno.

Gloryhammer_-_Space_1992
I Gloryhammer sono una grandiosa presa per il culo suonata e cantata pure molto bene. L’oggetto di massima perculazione sono, ovviamente, i Rhapsody [play] (sia quelli del Turillone nazionale sia gli altri del palestrato). Insomma, ci sta Bowes che suona le trombette e che fa una voce narrante tipo quella che usavano i Bal Sagoth, e racconta un sacco di simpatiche fregnacce tipiche del più tipico dei menu symphonic hollywood power starwars metal. Il disco si chiama Space 1992: Rise of the Chaos Wizards [play] e il pensiero mi corre rapido a quegli improbabili titoloni scritti a quattro mani dei suddetti Bal Sagoth, tipo Starfire Burning upon the Ice-Veiled Throne of Ultima Thule. Anche se la palma di titolo più lungo/stupido la vince quel pezzo di Battle Magic [play], che però resta un signor disco, che si chiamava The Dark Liege of Chaos Is Unleashed at the Ensorcelled Shrine of A’zura Kai (The Splendour of a Thousand Swords Gleaming Beneath the Blazon of the Hyperborean Empire: Part II). Che manica di simpatici cazzoni.

520246
Un altro dischetto che ha girato abbastanza di sovente nel mio stereo è l’ultimo degli Skepticism, storica band finlandese di funeral doom. Non li seguivo da tantissimo tempo e ho accolto con molta curiosità questo Ordeal [play] nonostante avessi già più o meno cognizione di cosa mi sarei trovato di fronte: un mattone pesantissimo. Sicuramente questa rappresenta una doppia prova di coraggio, primo perché l’album è stato interamente registrato dal vivo, quindi buona la prima (ma con qualche ovvia conseguenza sulla qualità della registrazione), secondo perché perseverare in questo genere dopo oltre vent’anni (ebbene sì, quest’anno ricorre pure il ventennale di Stormcrowfleet [play]) non è cosa da tutti. I brani inediti, però, sono solo i primi sei. Se vi piace il genere non perdetevelo, anche se il premio di miglior disco funeral di quest’anno se lo aggiudicano gli Shape of Despair. (Charles)



Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazines