Magazine Attualità

Slash, Myles Kennedy &The; Conspirators live a Milano

Creato il 01 luglio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La folla ha cominciato ad assieparsi sin dalla mattina nel piazzale del Mediolanum Forum di Assago, per l'occasione riconvertito nella location outdoor del Postepay Milano Summer Festival, in attesa degli ormai rodati Slash, Myles Kennedy and The Conspirators, che il 24 giugno hanno toccato l'Italia per l'ormai consueta data milanese.

Che senso ha andare a vedere il concerto di un chitarrista reso famoso da una band ormai inesistente (a meno che non si vogliano considerare i residui axliani dei Guns N'Roses come un legittimo prosecuo della band più famosa degli anni Ottanta), la cui silouhette completa di cappello a cilindro è diventata una delle immagine più iconiche (e scontate) della storia del rock? È una domanda che probabilmente si sono fatti in molti, e in completa buona fede: bisognerebbe lasciar perdere queste vecchie rockstar che si intestardiscono ad aggrapparsi con le unghie agli ultimi residui di fama riflessa e che ripropongono da anni la stessa minestra riscaldata, con risultati mediocri dovuti all'età, alle elevate quantità di droghe ancora presenti in circolo e all'interesse ormai concentrato più sul portafoglio che sulla musica. Bisognerebbe smettere di riempire i loro stadi, lasciare spazio alle band giovani, eccetera eccetera. Tutti ragionamenti legittimi, che però non trovano spazio se si parla di Slash. Chiunque abbia assistito al concerto del 24 giugno (e a quelli dei suoi precedenti tour che dal 2010 toccano il nostro Paese) ne è ben consapevole.

Il rock diretto di Slash

A saltare all'occhio sin dalle prime note è la compattezza della band. Sul palco non c'è uno Slash solista e protagonista con quattro musicisti poco carismatici, poco seguiti e facili da mettere in ombra, ma un gruppo che risponde pienamente alla definizione di "band": affiatati, solidi, estremamente capaci dal punto di vista individuale. È l'ennesima conferma (nel caso in cui ce ne sia ancora bisogno) di come quello che è nato come il progetto solista di Slash si sia evoluto in qualcosa di più. Nessuno degli uomini sul palco è una comparsa, tutti danno il proprio input ed è lodevole il fatto che Slash non cerchi di rubare a tutti i costi la scena, ma anzi lasci che Kennedy svolga al meglio il proprio ruolo di frontman, senza pretendere di avere una luce puntata addosso per l'intera durata del concerto.
Il rock proposto da Slash, Myles Kennedy and The Conspirators è diretto, secco, con una vena sleazy. Kennedy non si perde in giri di parole tra una canzone e l'altra, l'importante è suonare e i fan apprezzano, rispondendo con una vivacità e una carica notevoli. Lo sguardo quasi commosso del cantante degli Alter Bridge nell'osservare la folla mostra che la serata sta andando a gonfie vele.
I brani proposti spaziano da pezzi del primo album (Slash, 2010) quali Starlight, Back from Cali e Dr. Alibi (quest'ultima con alla voce il bassista Todd Kerns, che mostra di avere anche la stoffa del cantante, ruolo che ricopre nei suoi Sin City Sinners), a pezzi del secondo Apocalyptic Love (2012) e dell'ultimo World on Fire (2014). La band si mostra sicura di sè su ogni parte del repertorio e i fans sembrano recettivi sia ai pezzi più datati che a quelli dell'ultimo lavoro (che abbiamo recensito qui). Trovano ovviamente spazio nella setlist gli immancabili brani dei Guns N'Roses: Sweet Child O' Mine, Welcome to the Jungle, Rocket Queen, Nightrain, You Could Be Mine e la closer Paradise City. La reazione dei fan è esplosiva. Myles Kennedy riesce a gestire al meglio la differenza vocale tra lui e Axl Rose: non cerca di scimmiottarlo ma rielabora le tracce a modo proprio, seguendo il proprio stile e confermando di essere uno dei migliori cantanti degli ultimi anni, se non il migliore (e a provarlo non è solo la sua collaborazione con Slash, ma anche e soprattutto i suoi lavori con gli Alter Bridge). Unica nota dolente della combo dei pezzi dei Guns N'Roses e più in generale dell'intero concerto è la lunga (quindici minuti circa) improvvisazione di Slash durante Rocket Queen, che si ripete puntuale ad ogni esibizione della band e che comincia ad essere piuttosto pesante e monotona anche per i fan più sfegatati, non tanto per l'esecuzione in sè quanto per il suo essere presentata ogni volta durante lo stesso pezzo. Un'improvvisazione su un altro brano risulterebbe probabilmente più fresca, interessante e coinvolgente rispetto a ciò che ormai sembra essere un copione ripetuto fin troppe volte.
È interessante notare come, nonostante la comprensibile aspettativa nei confronti dei pezzi della storica band di LA, la reazione dei fan non cali assolutamente quanto ad essere eseguiti sono i pezzi originali della band. Slash è giunto a costruirsi un seguito fedele che non lo ama solo per ciò che è stato ma per ciò che è al momento, e che apprezza gli album del chitarrista riccio non per il nome che c'è in copertina, ma per la musica che quel nome continua a creare.
Quest'equilibrio è probabilmente la testimonianza più grande di come Slash non possa in alcun modo essere considerato un dinosauro del rock. Poche grandi rockstar del passato si sono messe in gioco quanto lui, rischiando il tutto per tutto e cercando di comporre musica che potesse stare sulle proprie gambe senza il bisogno di una fama leggendaria alle spalle.
Slash è l'esempio di come non tutti gli artisti del passato che ancora non hanno appeso la chitarra al chiodo siano da buttare e di come alcuni di loro abbiano ancora tanto da dare al pubblico, grazie alla loro capacità di reinventarsi sempre e non rimanere bloccati nell'immagine sbiadita e stereotipata di una copertina di Rolling Stone.

Rival sons, la rivelazione della serata

Sarebbe impossibile scrivere una recensione completa della serata senza dedicare almeno un po' di spazio alla band che ha preceduto Slash, Myles Kennedy and The Conspirators sul palco: i Rival Sons. La band californiana potrebbe essere considerata la gran rivelazione del concerto, se non fosse che, con quattro album all'attivo e una fama che la precede, ormai di "rivelazione" ha ben poco. Nondimeno, il gruppo ha conquistato il pubblico con una performance strepitosa, carica e diretta alla pari degli headliner, presentando un'ottima scaletta con pezzi quali "Electric Man" e "Pressure and Time". Onesti, forti e potenti, i Rival Sons hanno di sicuro guadagnato più di qualche fan tra la folla milanese. Compreso, si spera, chi in coda nel piazzale li liquidava come "un gruppetto insignificante mai sentito prima".

Tra Rival Sons e Slash, Myles Kennedy and The Conspirators, la serata del 24 giugno ha rimesso le parole in bocca a chi tanto si diverte a decretare l'ormai avvenuta morte del rock. No, il rock non è morto, e i musicisti saliti sul palco di Assago l'hanno dimostrato a gran voce.

Slash, Myles Kennedy &The; Conspirators live Milano

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog