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SLAYER – Repentless (Nuclear Blast)

Creato il 18 settembre 2015 da Cicciorusso

Testi di Luca Bonetta, Ciccio Russo e Il Messicano

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Luca Bonetta: Potrei stare qui a sciorinare papiri sul fatto che gli Slayer si sono rincoglioniti, che ho perso il conto degli anni passati da quando mi sono veramente esaltato con un loro disco, che Tom Araya prima assomigliava a Mauro Corona (scrittore, poeta e scultore delle mie parti, leggetevi qualcosa se non lo conoscete che merita) e ora pare un clochard di Bogotà. Potrei fare tutte queste cose ma sono sicuro che molti tra voi le pensano già, quindi mi limito ad un’analisi a freddo di quello che è il dodicesimo full degli Slayer. Ed eccomi qua, non so davvero cosa cazzo dire; ai tempi del liceo ero pure bravo a intavolare discorsi partendo da basi misere. Ho scritto alcuni dei temi migliori della mia classe infarcendoli di supercazzole e voli pindarici intorno all’aria fritta ma qui, signori miei, è tutto un altro discorso. Cosa si può dire di Repentless? Io posso solo dire che su un totale di 12 tracce ne salvo 2: la title-track e la successiva Take Control. Pure l’intro è carina, e questo vi dà un’idea di quanto mi sia arrampicato sugli specchi per cercare di tirare fuori qualcosa da questo cumulo di nulla cosmico fumante. Davvero, gente, mi sento impotente davanti a cotanta inutilità. Direte: “ma non c’è proprio un cazzo da salvare?”. No, la produzione è sterile da far vomitare e l’atmosfera generale è quella di un gruppo alla canna del gas ormai da tempo immemore che continua a cacare fuori dischi giusto per sputare su un passato glorioso. Si limitassero a fare tour gliene sarei eternamente grato. Ma sono convinto che queste cose le immaginavate già da soli. E sapete qual è la cosa peggiore? Che io ‘sta cacata l’ho pure comprata… Pensate quanto sono stronzo.

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Ciccio Russo: Mi piacerebbe potervi dire che alla fine si fa ascoltare, almeno di sottofondo. E invece no. Repentless è veramente brutto e inutile come me lo aspettavo, se non peggio. Il fatto che Kerry King, al momento di scegliere il titolo del disco, non sapesse nemmeno che Repentless non era una parola di senso compiuto in inglese, faccenda sulla quale si è sghignazzato molto sull’internet, la dice lunga sulla sciatteria e l’avventurismo di un album che è il colossale atto di presunzione di un musicista convinto che fosse possibile portare avanti una delle più grandi band della storia del rock dopo la morte del suo compositore più dotato. Ho scritto più volte cosa ne penso della decisione di King e Araya di proseguire l’attività in studio dopo la scomparsa di Jeff Hanneman. Non ne faccio una questione di principio, non ho più 16 anni. È ovvio che quel che resta degli Slayer continui a esibirsi dal vivo, mica pretendo che a cinquant’anni mollino tutto e vadano a lavorare da McDonald’s. All’Hellfest mi avevano pure divertito assai. Il punto è che King non ha abbastanza talento per scrivere in autonomia un disco in grado di reggere il confronto non dico con i classici del passato ma con le prove più recenti che, vi piacciano o meno, avevano sempre quei due o tre brani in grado da soli di fare polpette del 90% delle uscite discografiche coeve. Non c’è una Snuff, una Cult o una Payback, per citare tre tracce firmate dallo stesso King. Non c’è un cazzo di niente.

Si salva pochissimo. La title-track non è male, anche se linee vocali sono le stesse di World Painted Blood. Anche Cast the first stoneChasing death, il cui testo sembra riferirsi alla dipendenza dall’alcol del fu sparring partner, sono tutto sommato carine. Implode ha un bel ritornello, sebbene il resto della canzone sembri attaccato con lo sputo. Repentless nella sua interezza è, però, di un piattume sconfortante, a cominciare dalla deprimente When the stillness comes, un tentativo miseramente fallito di scrivere un pezzo “alla Hanneman” che è forse il brano più brutto mai uscito a nome Slayer. Non mancano solo i pezzi, manca anche quell’inconfondibile botta emotiva che solo gli Slayer sono in grado di dare. E un disco degli Slayer senza la botta semplicemente non è un disco degli Slayer. Perché Jeff Hanneman (en passant, stendiamo un velo pietoso su Piano wire, in teoria assemblata con riff lasciati in eredità dal defunto chitarrista) non era solo il lato oscuro della band, era anche quello più parossistico. Quel che colpisce davvero è infatti la sciagurata prevalenza di mid-tempo noiosi e sterili che ricordano i momenti più soporiferi di Diabolus In Musica. Se non hai idee, almeno buttala in caciara e premi sull’acceleratore a tavoletta, perdio. In tutto questo vuoto pneumatico, poco possono Gary Holt (che si limita a qualche assolo) e Paul Bostaph, che è un grandissimo batterista, uno dei migliori in ambito thrash, ma non ha la fantasia e i guizzi di Dave Lombardo e quindi, alle prese con composizioni così mediocri, non è in grado di fare la differenza, per quanto le sue mitragliate di doppia cassa restino un bel sentire.

Moscio, tirato via e senz’anima, Repentless difficilmente passerà ancora per il mio stereo una volta esaurito il dovere di cronaca. Se non avete il profondissimo legame emotivo che ho io con gli Slayer e lo avete trovato carino, se siete adolescenti e avete ordinato l’edizione limitata perché è il primo loro album che vedete uscire, posso pure capirvi, ci mancherebbe. Così come spero mi capirete voi se da oggi tenterò di far finta che questo disco non sia mai uscito.

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Il Messicano: Tra gli stronzi di Metal Skunk, penso di essere stato tra quelli che si è approcciato a questo disco nella maniera più tranquilla e “serena” possibile. Sono cresciuto con gli Slayer, ma non sono un loro ultras, come non lo sono di nessun gruppo. Sono tra le band più importanti della musica estrema e cazzi vari, ma bisogna essere oggettivi anche di fronte ai gruppi storici che ci hanno letteralmente cresciuti: non fanno un disco all’altezza del loro nome dall’ottimo Divine Intervention, anno di grazia 1994, cioè ben ventuno (21) cazzo di anni fa. Una vita. Nel ’96 tirarono fuori Undisputted Attitude, che ti apriva il culo e ci faceva i salti mortali dentro ma era un disco di cover punk/hc, quindi non un vero e proprio album. Nel 1998 fu la volta di Diabolus in Musica, album che comprai appena uscito. Ero un giovincello ai tempi e il primo ascolto fu paragonabile al momento in cui sei nella cameretta della tua ragazzina, periodo primi anni delle scuole superiori, e limoni hardcore fino a quando non ti arriva il cazzo contro il mento, ma proprio mentre stai per sbatterglielo in pancia rientra sua madre e rimani con le palle gonfie e doloranti fino all’agognato ritorno a casa, dove ti spari un segone liberatorio con sborrata finale che manco Rocco Siffredi con 5 kg di peperoncino lucano infilato nel culo. Ancora rintronato dalle allucinanti botte “hardcoreggianti” del sopracitato Divine Intervention, rimasi delusissimo da questo disco mediocre, spompato e moscio. Anni dopo lo rivalutai parzialmente. Lo considero comunque poca roba anche oggi, intendiamoci, ma ai tempi della sua uscita io ascoltavo in prevalenza hardcore, thrash e death e quindi per i miei standard dell’epoca era davvero una pisciata nel deserto del Nevada. Nel 2001, speranzoso, presi God Hates Us All il giorno del suo arrivo nei negozi. Ci spesi pure un sacco di soldi, perché era una versione salcazzo o roba del genere, e dopo il primo ascolto mi venne voglia di uccidere tutta la mia famiglia e darmi fuoco in piazza per i nervi: tutti quei soldi per quel merdoso pastone nu metal/groove/minchiation/roba varia che andava di moda all’epoca, più qualche sporadico elemento lontanamente slayeriano qua e là. Con la stessa somma avrei messo benzina alla macchina e mi sarebbero rimasti abbastanza soldi per caricare una nigeriana: palle svuotate e zero sangue amaro. Volete mettere? Fu il mio definitivo vaffanculo a ‘sti vecchi del cazzo. La mia pazienza era finita.

Christ Illusion arrivò nel 2006, ma io non lo ascoltai: ‘sta gente per me era morta e stramorta. Lo recuperai qualche tempo dopo e ne rimasi piacevolmente sorpreso: era decente. Niente per cui strapparsi i peli dalle palle a morsi, certo, ma un album comunque dignitoso da un gruppo ormai finito fa sempre piacere. Tre anni dopo, nel 2009, arrivò World Painted Blood: un altro calcio nei coglioni. Era una cacatina stupida, tipo gli stronzetti di pochi centimetri che spari nel tardo pomeriggio in casi eccezionali: insignificanti, quasi ridicoli a vedersi, ma puzzolenti come la carcassa di un babbuino morto per indigestione di merda di scrofa con la sifilide. Torniamo, quindi, al punto iniziale: non mi aspettavo assolutamente un cazzo da questo Repentless, visto che ritengo gli Slayer ormai finiti da oltre vent’anni, ma a ‘sto giro la curiosità di ascoltare il nuovo album c’era, visto che è il primo dopo la morte di Jeff Hanneman.

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Qui possiamo aprire un’altra parentesi: continuare senza Jeff è stata la scelta giusta? Sì, c’è gente che ha fatto questa domanda. Perché? E’ morta l’anima del gruppo, nonché membro, amico e compagno di avventure storico, quindi avrebbero dovuto sciogliersi. Ho sentito recitare questo copione da più persone. Insieme si forma un gruppo, si compongono i dischi, si contribuisce alla nascita ed allo sviluppo di un genere, si va in tour in giro per il mondo, si influenzano centinaia di altri gruppi e ci si vuole bene come fratelli, in nome della passione per la muzicamedalz e di Satanasso. Vero? Sì, certo, peccato che siano tutte stronzate che non stanno né in cielo né in terra. Quando si convive in giro per il mondo con le stesse persone per oltre trent’anni è inevitabile che si finisca quasi ad odiarsi e che comporre dischi diventi un lavoro come un altro, così come i tuoi ex amici con cui hai iniziato a suonare diventino dei semplicissimi e banali colleghi di questo cazzo di lavoro, esattamente come quelli con cui condividete l’ufficio tutti i giorni della settimana, esclusi i festivi. Gli Slayer non sono più un gruppo estremo o un’entità maligna, come qualcuno li ha definiti. Gli Slayer sono un marchio, sono un business, sono uno spettacolo, sono una fonte di guadagno. Sono un’azienda grazie alla quale queste persone fanno mangiare (bene) le proprie famiglie e quelle delle decine di persone che lavorano per loro. E basta. Avete mai sentito di una fabbrica che chiude i battenti dopo la morte di un operaio? O di un’azienda che magari cambia nome dopo la dipartita di uno dei soci fondatori? Vi sembrano paragoni azzardati? No, non lo sono per niente. Vi basti pensare che questi sono gli stessi che hanno fatto delle magliette in collaborazione con la H&M, tanto per fare un esempio, e così agiscono anche per tutto il resto: sfruttano il loro nome, che è ormai un vero e proprio marchio, per vivere. Sanno che il loro brand fa comunque vendere i dischi, fa venire la gente ai concerti e fa vendere le magliette, qualunque cosa accada, qualunque cosa loro facciano o dicano e vaffanculo a tutto il resto. Con questa ottica hanno continuato ad esistere ed hanno dato alla luce Repentless, riampiazzando Jeff con un altro importantissimo pezzo della storia del thrash metal, Gary Holt, anche se praticamente solo come turnista dal vivo (almeno per ora).

L’album è come me lo aspettavo: un prodotto leccato, buttato lì a cazzo, con elementi presi un po’ di là e un po’ di qua, rattoppato in più punti e fatto per piacere a tutti e a nessuno, tanto è lo stesso: venderanno comunque, porteranno a casa la pagnotta e tireranno cocaina dalle tette di qualche tardona peruviana nei camerini. E’ un disco noioso, riciclato, a tratti direi proprio stupido, con qualche parte veloce, diversi mid-tempos che più dementi non si può, mestiere a quintali, idee sotto lo zero e sorriso sulle labbra… Sì, il sorriso di chi sa che anche a ‘sti giro gli è comunque andata bene, nonostante tutto. Gli Slayer sono ormai dei tristi pensionati: qualunque cosa facciano, avranno sempre la sudata pensione, appunto, che li aspetta ogni fine del mese. Sono leggi di mercato ed esistono da sempre e alla fine va bene così, ma per me possono continuare ad andarsene a fare in culo senza se e senza ma. E’ paradossale che tra i gruppi thrash storici, sia americani che europei, loro siano tra quelli invecchiati peggio (escludendo i Metallica, che sono un caso a parte)… Del resto si sa che le coltellate alla schiena alla fine le prendi da chi meno te lo aspetti. Complimenti per la trasmissione.



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