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Slow hospital

Da Effettoparadosso
SLOW HOSPITAL Il tempo abbia tempo e che ci dia tempo.

Avete mai l'impressione di non avere il tempo di fare ciò che si desidera fare perché corre troppo velocemente? E' anche vero che viviamo in una società in cui la velocità fa da padrona: internet, adsl, banda larga, banda stretta, banda elastica, che però serve a noi infermieri per le nostre articolazioni un po' acciaccate.


Tutto sinapticamente organizzato per correre e non pensare. Ma è proprio vero che tutti riusciamo a correre allo stesso modo e restare aggrappati al tempo? 
Magari i giovanissimi lo sono di più, hanno un'organizzazione mentale celermente organizzata per questa era super-tecnologica. Ma tutti dobbiamo stare aggrappati al tempo per non perdere tempo e per non essere sconfitti dal tempo. Oggi si cresce per restare giovani. La società è organizzata per confermarsi giovane e per diventare sempre più giovane. Dal business economico: chirurgia estetica, prodotti cosmetici, botulino, silicone, acido ialuronico, palestre improntate sul culto del corpo sempre perfetto, tonico, muscoloso; Alla televisione ricca di programmi orientati verso i giovani: giovani amici che però litigano perché sono nemici, giovani veline, letterine, schedine, fin'anche alle trasmissioni di giovani anziani che imitano le troniste e i tronisti per trovare il fidanzato o la fidanzata, decadenza della saggezza; Al cinema che propone film di giovani adulti con la perenne crisi d'identità e della paura di crescere, partendo da “l'ultimo bacio”, “scusa se ti amo, scusa ma ti odio, scusa ma ti voglio sposare ma sappi che chiederò il divorzio dopo essermi fatto l'amante, sino ad “immaturi”, giovani adulti che devono ripetere l'esame di maturità immedesimandosi nel ruolo dell'eterno adolescente; La moda che ci vuole tutti magri, alti, belli, in grado d'indossare vestiti aderentissimi degni delle sfilate milanese; La società civile che d’esempi non ce ne risparmia alcuno. Non si capisce più quale sia il confine dell’età del tempo, di quel tempo che era chiamato “vecchio”. Il vecchio ormai appare solo nelle cose che l'ultimo dell'anno buttiamo dalla finestra. Per carità anche a me fa impressione la parola “vecchio” e la sostituisco con la parola grande. Insomma, si rifiuta la modificazione del corpo che il tempo plasma sulla pelle, si vive dunque una paradossale crisi d'identità del tempo. L’Italia è uno dei paesi più vecchi d’Europa. La percentuale di popolazione di 65 anni e oltre è passata dal 15,3% del 1991 al 18,7% del 2001. La popolazione di 75 anni e oltre è passata dal 6,7% del 1991 all’8,4% del 2001. I “grandi vecchi”, cioè la popolazione di 85 anni e oltre è passata dall’1,3% del 1991 all’attuale 2,2%. Le regioni più anziane sono, in ordine: la Liguria, l’Umbria, l’Emilia-Romagna e la Toscana. (Dati Istat 2001). E attendiamo il 15° censimento Istat che ci sarà proprio quest’anno. E’ inutile nascondercelo, sappiamo che la popolazione italiana s'invecchia sempre più, che fra un po' ci saranno più badanti che bambini, che l'elisir di lunga vita non sia stato ancora trovato, perciò ancora oggi nel terzo millennio ci s’invecchia e invecchiando si perdono capacità fisiche e prontezze di riflesso. Anche la sanità rispecchia la nostra vita sociale, in altre parole, l'assetto assistenziale è organizzato secondo gli attuali schemi di velocità supersonica per riuscire a fare tutto, sproporzionato rispetto al numero esiguo del personale. Le corsie italiane sono sempre più popolate da “giovani anziani” che il tempo porta a revisionare i loro corpi come il motore delle macchine. L'ospedale dunque, meccanico e l'elettrauto del corpo umano, in quest’epoca super veloce deve affrontare il fabbisogno lento dei nostri anziani e il paradosso del tempo è vissuto anche dagli operatori sanitari. In pratica è come se rifiutassimo la lentezza del tempo che ci mette nella condizione di dover entrare in contatto anche con il nostro tempo lento. Dunque, medici, infermieri, oss, tecnici, fisioterapisti, dietisti negli ospedali devono far fronte a questo esercito di persone anziane che affollano le corsie, propriamente o impropriamente, non avendo dalla loro parte purtroppo una rete di servizi territoriali tali da supportare questa grande mole di fabbisogno sanitario. E’anche vero che abbiamo a che fare con una tale crisi economica per cui è stato necessario apportare tagli sul personale e che il governo centrale pur essendo costituito per la maggior parte da “giovani e ringalluzziti anziani” badano a tagliare spese e non alla reale condizione degli ospedali (vedi regione Lazio), che però devono far fronte quotidianamente all'emergenza secondo l'equazione:    - [ (personale) + (pazienti) ] = (?)    Tanti posti letto L'incognita può essere presto risolta facendosi un giro tra le corsie. Con questo esercito di “giovani anziani” è come avere a che fare con bambini che hanno bisogno d'essere accuditi amorevolmente. Quando sono in ospedale diventano poi come neonati in fasce i cui bisogni sono totali: dal pannolone da cambiare ed essere imboccati nei pasti quotidiani, all'essere aiutati nell'assunzione dei farmaci ed ascoltati e rassicurati dalle loro paure e solitudini.   Insomma il tutto si traduce in un tempo che non può essere veloce, il loro tempo è un tempo lento ed il personale deve adeguarsi al loro tempo, ma per adeguarsi al loro tempo è necessario che ci sia più personale. Invece l'intera organizzazione ospedaliera è improntata sull'ADSL dalla banda larga, pochi corrono per riuscire a fare tutto e non si ha tempo di fare proprio tutto a molti. Questioni di priorità. Come si dice, è un cane che si morde la coda. Riadattiamo nuovamente il tempo all’essere umano. Riedifichiamoli questi SLOW HOSPITAL, oasi felici nonostante la malattia. Che la priorità nello slow hospital sia anche quella di dedicare pure un tempo al sorriso che può curare insieme alla medicina, dare spazio all’ascolto che fa bene alla psiche e contribuisce alla guarigione. Noi infermieri siamo formati pure per fare questo, però bisogna avere anche il tempo di bloccare il tempo, come un’immagine alla moviola da non applicare solo alle partite di calcio, ma anche alla vita reale e si spera all’assistenza ideale.

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