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SM50: Il Tormento di Spider-Man

Creato il 29 novembre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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SM50: Il Tormento di Spider-Man> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="340" width="223" alt="SM50: Il Tormento di Spider Man >> LoSpazioBianco" class="alignright wp-image-60090" />A malincuore, devo fare una rivelazione che fa più male a me che a voi lettori di questo articolo: ho scoperto i comics americani con Torment di Todd McFarlane. Avevo quindici anni. Un caro amico statunitense, appassionato di fumetti, mi inviò per posta tutti e cinque i capitoli che compongono la saga che dava battesimo alla nuova testata , ideata e sviluppata per dare spazio al talento dell’autore canadese. Era anche la sua prima prova da sceneggiatore. Era il primo fumetto di supereroi che avessi mai letto. Potrei mentire dicendo che lo trovai orribile, lento, sceneggiato male, superfluo, banale. Potrei inventare amori infantili inesistenti per le storie di Romita Sr o di , e invece Torment fu per me sconvolgente. E qui è necessario fare un piccolo salto indietro nel tempo, con piega autobiografica che spero il lettore mi perdonerà.
Nella mia famigli di origine non si sono mai letti fumetti. Forse qualche Tex è passato per le mani di mio padre, ma poco altro. Sono cresciuto a digiuno di qualunque contatto con fumetti diversi da Topolino, unica concessione per merito di un cugino più grande che mi passò un intero, impolverato, meraviglioso scatolone di vecchi numeri del settimanale Disney (Mondadori). Non che i miei genitori avessero qualche preclusione in merito al fumetto, semplicemente non avevano un’idea in proposito e non erano interessati. Spiegare la mia passione che sarebbe nata negli anni successivi non fu facile, soprattutto per motivare spese economiche inconcepibili dal loro punto di vista.
Dopo Topolino, arrivò Bonelli. Avevo quattordici anni, e, tanto per confermare una regola, quel che mi colpì non furono le straordinarie storie di Dylan Dog di uno Sclavi in stato di grazia, bensì il più rassicurante Nick Raider. Fece
SM50: Il Tormento di Spider-Man> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="464" width="300" alt="SM50: Il Tormento di Spider Man >> LoSpazioBianco" class="size-full wp-image-60085 alignleft" />breccia nella mia passione per il giallo classico che nutrivo allora, e mi colpì il realismo del disegno, la dinamicità delle storie e tutto quello che caratterizza da anni il buon fumetto Bonelli, caratteristiche che non mancarono a una buona sequenza iniziale di storie di Nick Raider di Claudio Nizzi. Fine del flashback.
È il 1991 e ho tra le mani Torment. McFarlane, in quelle tavole, mise tutto il suo impegno, le sue (limitate, direi oggi) capacità e, soprattutto, la sua esperienza maturata in tanti anni di lavoro con l’Uomo Ragno, per fare qualcosa che avrebbe dovuto sconvolgere qualunque fan storico del personaggio. E, fatemelo dire, lo fece con successo. Torment è infatti il punto di non ritorno di un certo modo di concepire il fumetto: lentezza, se non pretestuosità delle trame, al totale servizio di una spettacolarizzazione per lo più fine a se stessa del disegno. Le prospettive distorte, la drammatizzazione dei corpi e delle posture, l’accentuazione selvaggia (volgare?!) della derivazione animalesca dei personaggi. E poi la cura nei colori su carta di qualità, l’approccio pop (ovvero, cool, siamo a inizi anni ‘90) all’icona Spider-Man, l’esordio di una nuova testata che fungesse da punto zero per i nuovi lettori… Tutto questo era ai miei occhi il Torment di McFarlane. Ricordate, la mia cultura fumettistica era pressoché a zero, a maggior ragione per quanto riguardava i supereroi. Da lì in poi, scivolai in un crepaccio di passione zelante e febbrile. Ricercai nelle edicole italiane tutto quello che potevo trovare che avesse un eroe in calzamaglia in copertina, mi buttai sulle favolose raccolte Star Comics che raggruppavano tre numeri vecchi recuperati dai resi, e tutto quello che ognuno di voi spericolati appassionati avete fatto quando la scimmia vi ha preso e morso sul collo, ognuno per la propria epoca. Ammettetelo!
Nel tempo, quell’emozione è scomparsa. Non solo quella per il Torment di McFarlane, ma progressivamente per il fumetto di genere supereroistico. Il distacco con cui mi capita ancora oggi di leggere alcuni comics è segno evidente di tre cose: il mancato rinnovamento del genere (eccezioni a parte, ma non è questa la sede); la crescita della mia “cultura fumettistica” e della mia consapevolezza di lettore; il fatto che non sono più un adolescente alla ricerca di eccitazione e adrenalina di prima mano.
SM50: Il Tormento di Spider-Man> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="468" width="300" alt="SM50: Il Tormento di Spider Man >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-60083" />E l’Uomo Ragno? Qui arriva una seconda rivelazione.
Non ho mai davvero amato il personaggio. Ho scoperto le sue storie più importanti, quelle che ne hanno definito il mito, fuori tempo massimo. Le storie classiche dirette da Stan Lee le ho quasi sempre trovate noiose e ridondanti, e le gestioni successive, fino alla clamorosa (!?) morte di Gwen Stacy, non mi hanno mai emozionato. Per non parlare della delusione nel leggere le storie che, al tempo in cui lessi Torment, venivano pubblicate sul quindicinale italiano, ovvero quelle disegnate da un McFarlane per me irriconoscibile e scritte da David Michelinie, un mestierante del fumetto popolare che non ha mai saputo ritagliarsi, ai miei occhi, un posto di riguardo nella cultura fumettistica che conta.
Ma soprattutto, mi infastidiva il personaggio. Peter Parker era per me una vera contraddizione: sfigato ma amato dalle ragazze più belle della scuola; dotato di poteri straordinari ma sempre pronto a lamentarsi; fagocitato da una zia insopportabile e caricaturale; affrontato dai nemici per il solo fatto di chiamarsi Spider-Man, alla faccia di qualunque verosimiglianza drammatica. Insomma, per me, l’icona Spider-Man è sempre stata più fumo negli occhi che altro. Con alcune eccezioni che mi sento in dovere di ricordare.
La prima ha nome Peter David. La sua breve gestione “metropolitana” [1] di Spider-Man è rimasta giustamente nella storia del personaggio. Le storie hanno una piega drammatica inattesa, il ritmo delle sceneggiature si alza vertiginosamente e diventa cinematografico. Per Peter David si è trattata di una delle prime esperienze significative da sceneggiatore di comics, e anche un’enorme occasione per farsi conoscere. Le sue idee, la sua sensibilità e la sua voce già personale sono state per Spider-Man una grande ventata di aria fresca e di innovazione. Qualcosa da rimpiangere per molto tempo, ricordandolo con sentita nostalgia.
La seconda eccezione, senza dubbio scontata, è quella di Jean M. DeMatteis. Altri più bravi di me si dilungheranno ad analizzare i suoi capolavori (prima tra tutti, l’Ultima caccia di Kraven, [2] ovviamente). Di DeMatteis mi preme però sottolineare due aspetti. È stato l’unico autore in grado di dare un vero senso a quella sciocca, inutile caccia all’Uomo Ragno da parte dei suoi nemici che per così tanti anni ha funestato la testata. Uscire, insomma, da quello schema che recita “maledetto Uomo Ragno, ti voglio morto”, salvo poi finire regolarmente sconfitto (l’Avvoltoio, in questo senso, rappresenta per me il personaggio più ridicolo del gruppo).
SM50: Il Tormento di Spider-Man> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="375" width="250" alt="SM50: Il Tormento di Spider Man >> LoSpazioBianco" class="alignright wp-image-60092" />DeMatteis ha rotto lo schema, lo ha guardato da dentro, con occhio psicanalitico, gli ha dato prospettiva e vita, trasformandolo in una caccia frutto della follia e, perché no, della lotta tra popoli e culture diverse.
Il secondo grande successo di DeMatteis è stato quello di entrare nella testa di Peter Parker e dare voce alle tante contraddizioni che, in precedenza, ho citato come quelle che mi hanno tenuto sempre lontano dal personaggio. L’autore di Brooklyn, insomma, ha saputo dare senso e vita a schemi narrativi rituali e ormai vuoti, modernizzando il personaggio in piena coerenza con la sensibilità del tempo, che voleva che i supereroi crescessero con i loro lettori.
La terza eccezione, lo ammetto, è in parte un’ombra del lavoro di DeMatteis, e si chiama Sal Buscema, il fratello meno talentuoso della famiglia Buscema. Sal è stato per me uno dei massimi rappresentanti dell’ “operaio” dell’industria fumettistica, nonché il perfetto punto di unione tra il senso più popolare e “povero”, da un lato, e quello più “colto” e “autoriale” dei comics statunitensi dall’altro. Una specie di simbolo, un’icona lui stesso, di quello che un buon artigiano è in grado di fare per dare vita a sequenze memorabili. Suoi i disegni della saga di DeMatteis “Il bambino dentro”. Suoi però anche i disegni di un altro ciclo da menzionare, con il ritorno di Gerry Conway alla macchina da scrivere, stavolta su Spectacular Spider-man. Buscema, classe 1936, con il suo stile semplice, schematico ma perfettamente supereroistico, è uno di quei professionisti da ricordare sempre e che tanto, tantissimo ha dato al personaggio.

SM50: Il Tormento di Spider-Man> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="456" width="600" alt="SM50: Il Tormento di Spider Man >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-60091" />In questi appunti disordinati e noiosamente autobiografici, arrivo alla quarta eccezione, facendo un salto in avanti ai giorni nostri, o quasi. Si tratta del duo Brian Michael Bendis e Mark Bagley e del loro inarrivabile Ultimate Spider-Man. Sarò tranchant e diretto: l’Uomo Ragno definitivo degli anni Duemila è la migliore interpretazione del personaggio che ci sia mai stata data. Di più, credo che se si dovesse indicare un fumetto di supereroi contemporaneo che riassuma con efficacia la classicità del genere e, al contempo, la sua attualità, sarebbe proprio Ultimate Spider-Man di Bendis e Bagley. Ritmo, humor, dramma, coerenza psicologica, una capacità unica nel rielaborare la storia del personaggio e di attualizzarla per la nuova sensibilità dei lettori. Tutto questo, unito a un grande maestria nel dosare colpi di scena e ribaltamenti, fa dello Spider-Man di Bandis e Bagley un viaggio memorabile e necessario. Una di quelle cose che tengono ancora, davvero in vita, un personaggio.
L’ultima eccezione che trovo fondamentale citare, per ragioni del tutto diverse, si chiama Steve Ditko. A Ditko torno regolarmente, anno dopo anno, per scoprire qualcosa di nuovo della sua visionaria e impressionante capacità artistica. L’ultima occasione, in termini cronologici, è stata la lettura delle tavole del suo ciclo di Spider-Man in bianco e nero sull’Essential che ne raccoglie le storie. Malgrado la povertà dei mezzi di stampa (carta leggera e porosa), il bianco e nero rende pieno, totale servizio alla bellezza dei disegni di Ditko. L’autore aveva una sensibilità grafica e visiva seminale, che si riscontra nell’impostazione della tavola nel suo insieme, fino al particolare della singola vignetta.
SM50: Il Tormento di Spider-Man> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="451" width="300" alt="SM50: Il Tormento di Spider Man >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-60086" />Una perizia di questo genere, pensateci bene, era del tutto non richiesta ai tempi della pubblicazione di quelle storie. Tanto più se confrontato con il tenore delle prime sceneggiature di Stan Lee. Ma a un certo punto, Ditko prende in tutti i sensi in mano la serie e il disegno ne diventa perfetta dimostrazione. Dramma, dinamicità, ricerca, innovazione, una costante attenzione al realismo, senza perdere in leggerezza e forza evocativa… Ditko è la quint’essenza del vero artista al servizio di un’arte povera come il fumetto di quegli anni. È in quelle storie che è possibile leggere tutta la contraddizione (e la forza) di questa forma di comunicazione. Ed è proprio a Ditko che Todd McFarlane ha guardato, con insistenza, quando ha impresso il suo sviluppo estremo all’icona Spider-Man. Il cerchio si chiude.
McFarlane non è il moderno Ditko. Non è potuto esserlo, per sensibilità e per cultura visiva. Ne rappresenta tuttavia una sorta di distorsione popolare, tutta inserita nella cultura mainstream degli anni ’90 del secolo scorso. Una distorsione, una caricatura che non è possibile, oggi, liquidare con quello sciocco sorriso sulle labbra. Uomo da milioni di copie vendute, simbolo decaduto della lotta del diritto d’autore, fondatore della Image Comics, McFarlane ha soprattutto saputo colpire al cuore l’immaginario del lettore popolare statunitense di fine millennio, mostrando i paradossi dell’industria, della cultura ad essa sottesa, della violenta e rapidissima creazione e distruzione di miti che l’hanno caratterizzata. Torment è un barocco esperimento visivo ricco di ambizione e di sfrontatezza, ma senza la consapevolezza dei mezzi e del medium che avrebbe richiesto. È un punto di non ritorno per l’industria fumettistica statunitense all’apice della bolla speculativa ma, soprattutto, è stata la sirena che ha incantato il sottoscritto, traghettandolo verso una passione che, da allora, non ha più avuto né freni né ragioni.

Note:

  1. qui la nostra intervista inedita all’autore in questo stesso speciale [↩]
  2. qui la nostra recensione in questo stesso speciale [↩]

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  5. Benvenuti a Hicksville, dove i fumetti vi spezzeranno il cuore (recensione e concorso a premi)

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