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SM50: Intervista a Bob McLeod

Creato il 27 novembre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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SM50: Intervista a Bob McLeod> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="226" width="147" alt="SM50: Intervista a Bob McLeod >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-60110" /> Nel 1987 inchiostra le matite di per il famoso storyline Kraven’s Last Hunt sui titoli di Spider-Man. Alla DC ha disegnato Superman in Action Comics agli inizi degli anni novanta. Ha contribuito al lancio della nuova testata di Superman chiamata Superman: The Man of Steel nel Luglio 1991 con la scrittrice Louise Simonson e il disegnatore Jon Bogdanove. Con lo scrittore Roger Stern contribuisce ad alcune storie di Superman come quella, del 1991, nella quale Clark Kent finalmente rivela la sua identità di Superman a Lois Lane e il crossover “Panic in the Sky” del 1992. Ci sono anche diversi numeri di The Phantom disegnati da McLeod editi dalla svedese Egmont. Ha scritto e disegnato un libro per ragazzi, Superhero ABC, pubblicato da HarperCollins nel 2006 segnalato dalla School Library Journal e dalla ABA Booklist. McLeod attualmente insegna part-time al Pennsylvania College of Art and Desing a Lancaster, Pennsylvania, e si occupa della rivista Rough Stuff per la TwoMorrows Publishing e lavora su diversi progetti commerciali.

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Grazie per essere qui con noi su Lospaziobianco. Parliamo dei tuoi primi tempi alla Marvel. Come era l’atmosfera in casa editrice negli anni dal 1981 al 1987?
Jim Shooter aveva in testa idee molto chiare su come la Marvel dovesse funzionare e su come i fumetti dovessero essere. In un mercato pieno di creativi dava sui nervi a molti il fatto che volesse cercare di limitare la libertà creativa con restrizioni e indicazioni. Credo che avesse le migliori intenzioni ma penso anche che amasse esercitare il suo potere. Non ho mai avuto alcun problema direttamente con lui, e infatti mi ha sempre trattato molto bene. Penso che ha cercato sempre di riconoscere agli artisti quanto più possibile e ritengo di essere stato pagato bene. Conosco molti altri che non gradivano lo stile della sua gestione. Quindi l’atmosfera alla Marvel durante la sua gestione era spesso tesa e un po’ burrascosa. Se non gli piaceva il tuo  lavoro eri nei guai. Ma penso che portò un ordine necessario alla Marvel e che realizzò tante buone cose, almeno nei primi anni.

Durante quel periodo Spider-Man passò attraverso una serie di nuove esperienze: il costume nero, una serie di storie noir ma anche il matrimonio. Come riuscirono a trasformare un personaggio così brillante in uno dark e come reagì il pubblico?
Sarai deluso da molte delle mie rispose. Sono un arista e non faccio molta attenzione a questo tipo di cose. Mi concentro sui lavori che mi danno e faccio attenzione a realizzarli al mio meglio. Mi piacevano i personaggi come Stan li aveva creati per la maggior parte, e non mi piaceva renderli più dark o più violenti, più adulti. Ma la maggior parte degli altri sembrava apprezzare i cambiamenti, penso. Conosco molte persone che non volevano che Peter Parker si sposasse. Penso che gli scrittori si annoiano dello “status quo” e vogliono movimentare le cose e cambiarle. Penso che troppo spesso cercano di divertirsi piuttosto che divertire il pubblico e, come risultato, il pubblico diminuisce.

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Hai spiegato che non hai avuto influenze sulla storia di Kraven (Kraven’s Last Hunt). Cosa hai pensato quando hai letto la trama la prima volta?
Non l’ho letta. Ho avuto le copertine a matita da Mike Zeck ed ho pensato che sembrava tanto lavoro, ma sembrava ancora un progetto al quale volevo partecipare perché doveva spandersi su tutti i titoli di Spider-Man. Ma ho accettato il lavoro soprattutto perché Mike me lo ha chiesto. Non avevo idea sarebbe stato così fenomenale.

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Cosa pensi della sequenza di eventi, il fatto che Kraven rubi l’identità a Spider-Man dopo averlo sotterrato… insomma, il modo in cui De Matteis ha raccontato la storia nelle sue sei parti…
Onestamente, quella storia arrivò nello stesso momento in cui nacque mio figlia ed io ero molto più interessato a lui che ai fumetti. Pensavo fosse una buona storia, ma a quel punto non stavo più leggendo fumetti. Mi godevo mia figlia e non pensavo molto ai fumetti in quel momento. Penso (questo accadeva) perché Marvel e DC mi mandavano praticamente tutto quello che pubblicavano e c’erano dei fumetti veramente orribili che mi mandavano e ero stando di tirar fuori da questi quelli buoni e c’erano anche tanti libri che volevo leggere e quindi ho smesso di leggere fumetti.

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Credevi, inchiostrando, di star realizzando albi straordinari destinati ad essere pietre miliari della saga di Spider-Man?
Per nulla. Non ne avevo idea. Per me questo è un lavoro. È lavoro. È la mia carriera. Non sono un fan. Mi interessava per l’arte non per la storia. Ero affascinato da cosa una linea di inchiostro può fare. Come puoi creare immagini lasciando segni neri su carta bianca. Ecco cosa mi interessava.

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La storia fu una sorpresa per molti lettori; un viaggio nella follia, morte, ossessione… Quale fu la reazione dei fan?
Come detto non gli davo molta attenzione, davvero. Non ricordo di aver saputo della reazione dei fan fino a molto dopo. Anni dopo.

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Alcune matite del tuo amico Mike Zeck erano molto dettagliate ma sappiamo che tantissime tavole erano praticamente solo abbozzate. Il tuo lavoro “extra” è stato riconosciuto dai fan? Spesso gli inchiostratori possono sovrapporre il proprio stile ai matitisti; forse è accaduto anche in questo caso anche se non è una “colpa” vera e propria…
I fan non sapevano assolutamente che stavo contribuendo così tanto. La maggior parte non hanno idea di cosa fanno gli inchiostratori e la Marvel non accreditava gli inchiostratori neanche come “finisher” per la metà delle volte. Ma un fan non sapeva cosa un “finisher” o “embellisher” fosse, in ogni caso. Ho lavorato per soddisfare i miei propri alti standard e per impressionare i miei colleghi e gli editori che mi davano lavoro, non i fan.

Il sito dell’autore: www.bobmcleod.com
Qui la versione originale dell’intervista

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