SM50: Peter David, Spider-man e il reale

Creato il 01 dicembre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Potete leggere la nostra intervista a Peter David qui

Si trascinava l’anno 1985. L’aviazione israeliana bombarda la sede dell’OLP, l’Achille Lauro veniva sequestrata da un commando guerrigliero palestinese, a Ginevra avveniva il primo incontro tra Ronald Reagan e Michail Gorbačëv. L’anno successivo la Dc Comics avrebbe pubblicato Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, forse la più cupa storia di Batman di tutti i tempi e Watchmen, una storia che raccontava, tra l’altro, le terribili conseguenze dell’eventuale esistenza dei supereroi. Erano tempi strani. Sia nel mondo che nel fumetto. E di lì a pochi anni sarebbe caduto il muro di Berlino e il mondo sarebbe cambiato.

Il revisionismo supereroistico bussava alle porte del mondo del fumetto mainstream e non tutti ancora avevano ben chiaro quante e quali conseguenze questo fenomeno avrebbe generato. Qualcuno ha parlato di quel periodo come l’ora più nera prima dell’alba, ma anche come del bocciolo del desiderio di cambiamento che da lì a poco sarebbe arrivato. E, come si sa, è nel momento in cui si cambia che si mette in discussione ciò che prima era dato per certo e scontato e si cercano le risposte. In questi momenti succede quasi sempre qualcosa di nuovo. Alla Marvel la novità fu Peter David. Una novità piccola a dire il vero, almeno in quel momento. Fino a qualche tempo prima impiegato nel settore amministrativo, colui che anni dopo si definì writer of stuff ovvero scrittore di roba, sottopose alla direzione una bozza di trama dal titolo La Morte di Jean DeWolff.

Nel frattempo, tra i corridoi de La Casa delle idee (sopranome della Marvel) si aggirava un ventiquattrenne appassionato della serie televisiva Hill Street Blues (In Italia Hill Street giorno e notte), un telefilm di genere poliziesco, molto calato nella realtà quotidiana vissuta dai poliziotti sulle strade e in cui l’happy end non è mai garantito: il suo nome era James Owsleye in quel periodo il suo lavoro era fare l’editor di diverse testate dell’Uomo Ragno. Owsley voleva che una delle serie dedicate all’arrampicamuri avesse un taglio più duro, più tetro e un ambientazione che almeno in parte richiamasse Hill Street Blues.

La saga proposta di Peter David calzava a pennello i desideri dell’editor. La conseguenza fu cheSpectacular Spider-Man cambiò registro inaugurando quello che sarebbe stato definito, un po’ impropriamente, come il periodo Noir dell’Uomo Ragno.

La saga del Mangiapeccati (che possiamo scindere in due parti, la prima, relativa allaMorte di Jean DeWolff composta dai numeri 107-110 di Spectacular Spider-man, e la seconda, detta Il Ritorno del Mangiapeccati, contenuta nei numeri 134-136 della stessa collana) ha sicuramente dei toni hard-boiled, ma nel calderone di aspetti che rendono così folgorante questo gruppo di storie, questo elemento forse non contò più della tela su cui il quadro vero e proprio prese forma.

Il periodo noir dell’Uomo Ragno inizia con un flashback composto dai i ricordi che una morente Jean DeWolff riporta alla mente analizzandoli in prima persona. David crea così subito un empatia tra il personaggio (che a dire il vero era sparito dalla vita di Peter Parker da circa un paio di anni) e i lettori. Ma si tratta di un trucco narrativo, perché questo rapporto e destinato subito a spezzarsi con la morte del giovane capitano di Polizia. Non c’è stato nessun combattimento spettacolare, nessun epico scontro o subdolo agguato sventato all’ultimo momento. Non ci sarà nessun salvataggio o resurrezione improvvisa. Jean DeWolff è morta, distesa sanguinante sul pavimento di casa sua.

Paradossalmente non è questa l’immagine più forte del ciclo di storie in esame. Passano poche pagine e, invece di trovarci di fronte al solito scontro da costumi sgargianti, assistiamo al pestaggio di un anziano da parte di alcuni rapinatori. Non è un elemento da sottovalutare che David decida di mostrare, grazie alle matita di Rick Buckler, le immagini dei colpi che vengono inferti alla vittima. Fino a quel momento è raro trovare scene di questa violenza. Di fatto le rapine venivano rappresentate come un incontro tra un personaggio col coltello e uno disarmato a cui seguiva l’intervento del supereroe di turno, senza che alcuna violenza fosse spesa. L’agonizzante e malmenato vecchietto steso a terra che supplica i suoi assalitori ormai in fuga di fermarsi è un’immagine abbastanza diversa da quella a cui il lettore era abituato e indica appunto che quelle storie che stiamo leggendo sono ben più calate nel reali di quanto ci si potesse aspettare.

Ancora estremamente attuali sono i problemi morali e legati alla società che David solleva. In primo luogo quello della giustizia, dell’eccessivo garantismo e del complesso rapporto tra questi due aspetti del vivere quotidiano che si scontrano nei tribunali. I responsabili dell’aggressione appena raccontata vengono rilasciati in sede di giudizio, anche grazie all’abilità forense del loro avvocato: Matt Murdock, in arte Devil, supereroe che nel ruolo di comprimario accompagnerà l’Uomo Ragno in tutti gli episodi del primo ciclo. Il giudice responsabile di questa decisione è la seconda vittima del Mangiapeccati. Viene spontaneo leggere un messaggio preciso in questo omicidio: dove non giunge la giustizia della società giunge la giustizia del singolo, del uomo…, che punisce non tanto i colpevoli quanto chi non svolge, secondo una distorta visione immersa nella follia, un ruolo punitivo. Soluzioni semplici a problemi complessi che si rivelano più che altro semplicistiche.

Altro passaggio: in un normale fumetto di supereroi il criminale di turno sarebbe sfuggito al suo inseguitore su un aliante o in una nuvola di fumo. Ma il taglio realistico imposto da David offre una soluzione molto più immediata. Il Mangiapeccati, l’assassino, esce per strada, tra la folla, con il fucile spianato e inizia a sparare ai suoi inseguitori. L’Uomo Ragno evita un colpo che ferisce un passante al suo posto (che poco dopo morirà in ospedale). Stranamente la cosa sconvolge poco Peter Parker, quasi come se la morte e la follia fossero ormai un elemento che la quotidianità gli ha fatto accettare.

Nel momento in cui la vera identità del criminale viene rivelata e scopriamo che si tratta del poliziotto chiamato a indagare su i suoi stessi crimini e amico dell’Uomo Ragno, l’autore gli fa profferire alcune parole che pongono l’accento sul clima di sospetto e di ansia che in quegli anni si vivono, entrambi derivanti dal periodo storico che la società americana sta attraversando, cioè una politica del sospetto dovuta alle dinamiche della guerra fredda (e non solo): “Sono le persone normali quelle che devi tenere d’occhio”. Ma non si tratta solo di una questione politica. Il clima di violenza di quei tempi, soprattutto sul territorio americano, aveva reso altissima la tensione sociale. Erano ormai quotidiani i casi di lucida e violenta follia. Una critica sociale quella di David che forse non poteva prevedere al tempo di aver usato una frase che sarebbe stata attuale anche vent’anni dopo.

Umana e reale è la reazione dell’Uomo Ragno, che di fronte alla scioccante rivelazione, perde la testa e inizia ad massacrare a suon di pugni l’ormai inerme e sconfitto nemico. Anche qui David vuol mandare un messaggio e lo fa grazie all’immedesimazione che il lettore ha con il personaggio. Il desiderio di vendetta, di giustizia spiccia è insita nell’uomo, soprattutto nella sua componente primordiale, dove il controllo non è elemento fondamentale. È ancora una volta Devil, il personaggio Marvel più inquadrato nel sistema giustizia, a fermare la furia del suo collega supereroe, facendogli prendere coscienza che in fondo non sta facendo nulla di diverso rispetto a quello che lo stesso criminale aveva fatto, cioè amministrare in modo autonomo la sua giustizia, ponendosi fuori dal sistema.

Il ciclo si chiude con una morale finale, perché per quanto anomalo, stiamo sempre parlando di un fumetto di gente in calzamaglia che volteggia per i tetti di New York. Ricordate il vecchietto aggredito all’inizio del ciclo? A differenza dell’Uomo Ragno lui non aveva un “Devil” custode pronto a riportarlo sulla giusta strada e al momento di una nuova aggressione ha scelto di farsi giustizia da solo, sparando ai malcapitati teppisti incrociati sulla sua strada. Un finale triste per un personaggio, estremamente secondario, che da vittima assurge ad assalitore, se non fosse proprio per il sistema, cioè per la possibilità che lui avrà di difendersi in tribunale con lo stesso avvocato (Matt Murdock) che in precedenza aveva difeso i suoi assalitori.

Il sistema tutela tutti. Colpevoli e innocenti. Forse non è giusto, ma è equo. Questo è il messaggio con cui David sembra voler chiudere il ciclo. Resta tuttavia la sensazione che la critica proposta dall’autore acquisti forza dall’utilizzo di una serie di personaggi borderline, che agiscono in una società esasperante, che per quanto ci provi, non riesce ad imporre un giusto equilibro tra giustizia formale e giustizia sostanziale.Poi qualcuno ha ancora il coraggio di dire che i fumetti sono cose da bambini….


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