Chissà se nella casa di Alfred Nobel, inventore della dinamite oltre che fondatore dell’omonimo premio, è rimasto un po’ di esplosivo per far saltare, quel che rimane di un riconoscimento che sta sempre più perdendo di peso e di credibilità.
Un finale pirotecnico ci starebbe bene perché ormai fra il manuale cencelli che deve distribuire i premi fra i vari Paesi, le alchimie politiche che pure le varie accademie svedesi delegate al Nobel nutrono nel loro seno, i favori accademici da distribuire, l’impossibilità di seguire tutto con cura oggi che la ricerca mondiale è gigantesca, l’impressione è che ormai il premio abbia perso il suo prestigio anche se non la consistenza finanziaria. La stessa marginalità della Svezia non è più garante di neutralità, ma al massimo di dipendenza dal potere culturale e dalle sue pressioni.
Ogni anno assistiamo a qualche inesplicabile stravaganza e in questo 2011 oltre allo sconosciuto poeta svedese e ai suoi ossimori giacenti come ossi seppia su spiagge gelificate, anche i due premi all’economia suscitano più di un dubbio. Intanto perché Thomas Sargent e Christopher Sims, i due “nobelitati”, hanno prodotto i loro metodi empirici per determinare gli effetti decisionali dell’economia sul sistema politico e viceversa, moltissimo tempo fa, ancora prima degli anni ’80 e quindi in una situazione diversissima, quando stavano nascendo i paradigmi economici che oggi sono contestati come origine della crisi. E poi perché Sargent ha ricevuto il premio per concezioni anti welfare, che almeno in parte ha poi ritrattato. (Qui un audio in cui l’economista Emiliano Brancaccio, spiega grosso modo cosa abbiano fatto i due e vi garantisco che c’è da raggelare per la sostanza, ma anche per la “vecchiaia” di certe tesi).
Dunque non si capisce bene se la Banca di Svezia che cura l’assegnazione del riconoscimento, abbia voluto dare un segnale politico in direzione neoliberista dando un contentino a due economisti poco noti, ma molto vicini alle ragioni della finanza, oppure davvero crede all’importanza fondamentale di questi contributi, che poi alla fine è la stessa cosa. E mi chiedo anche se una banca sia il luogo migliore per decidere degli apporti scientifici e culturali o non sia meglio limitarla, come in Italia, alla produzione di splendidi volumi che nessuno legge, ma sono un tocco di classe per le librerie dei migliori clienti. Il Nobel all’ipocrisia sarebbe garantito.
Ma allora mi tocca chiedere scusa a Brunetta: forse potrebbe prendere davvero il Nobel anche lui, per aver dimostrato che anche il non lavoro crea reddito e pure abbondante. Cosa importa poi che non ci siano le pubblicazioni: il nostro Renato potrebbe sempre dire, come Oscar Wilde, che il genio economico l’ha messo nella vita e non nelle opere.
Ma a parte i tristi casi italiani, tristi per Brunetta, ma anche per i Nobel italiani che sono molti di meno di quanto il Paese meriterebbe, è sempre più chiaro che qualcosa non funziona più nel premio. E se qualcuno mi venisse a dire che ha vinto il Nobel, gli risponderei, “vabbè, ma a parte questo, cos’hai fatto di importante?”