Lucas Pittaway
Production year: 2011
Countries: Australia, Rest of the world
Cert (UK): 18
Runtime: 120 mins
Directors: Justin Kurzel
Cast: Craig Coyne, Daniel Henshall, Louise Harris, Lucas Pittaway
Benvenuti nella periferia di un remoto e anonimo paese del sud dell’Australia, nella sua claustrofobica dimensione umana e sociale, nella povertà interiore dei suoi abitanti: benvenuti a Snowtown.
Per quelli che immaginano l’entroterra australiano come una sorta di paradiso incontaminato, con allegri canguri saltellanti e pacifici personaggi locali, la storia di questo film può sembrare veramente al limite della realtà, con la sola differenza che questo, ahimè, è un fatto realmente accaduto, che ha cambiato per sempre la reputazione di un dormiente villaggio sperduto nel nulla.
Snowtown, film di debutto indipendente dell’australiano Justin Kurzel, candidato al premio Sutherland al London Film Festival (premio dedicato proprio alle opere prime dei registi più originali e geniali), racconta le vicende avvenute tra il 1992 e il 1999 in questo piccolo paese australiano, meglio conosciute come i “Bodies in the Barrels”: il caso dei “corpi nei barili”, in seguito al ritrovamento dei resti umani di otto vittime in barili di acido nel deposito di una banca in disuso.
La vita nelle periferie può essere talvolta deprimente, ed a Snowtown lo è davvero molto. Non c’è nulla che riesca a colorare l’esistenza con una tonalità differente dal freddo grigio, che riesca a spazzare via il vuoto delle giornate trascorse di fronte ad una slot machine o ad un banale programma televisivo.
Niente.
Lo sa bene il giovane e fragile Jamie Vlassakis (Lucas Pittaway) che, assieme ai suoi due fratelli e a sua madre Elisabeth Harvey, (soprav)vive in una della tante case prefabbricate della zona.
L’ambiente che li circonda, però, è ben più desolante di quello che si intravede fin dalle prime scene. Dietro le tende di manifattura scadente, e oltre il cibo take away e la tivu’ spazzatura, c’è il vero squallore di questa periferia: quello interiore, quello della deriva umana dei suoi abitanti che si tramuta in abusi sessuali e pedofilia, in odio e paura per il diverso, nel bigottismo che fa di ogni omosessuale un mostro, e, infine, in violenza omicida.
Questo è il mondo in cui vive Jamie, un mondo che accetta passivamente perché è l’unica realtà che conosce. Quando nella sua vita e in quella della sua famiglia giunge dal nulla John Bunting (Daniel Henshall) non è difficile capire perché Jamie ne resti così affascinato. Bunting, con il suo aspetto paffuto e rassicurante, sembra essere finalmente arrivato per cambiare le cose e riportare un po’ di ordine nel quartiere.
Stabilisce subito la sua posizione nel gruppo, cucina per tutti e, soprattutto, si prende cura di Elizabeth, diventandone il compagno, e simpatizza con Jamie che vede in lui una guida e la figura paterna tanto desiderata. È un leader carismatico e come tale gli piace circondarsi di una ristretta e fedele crew. Ma gli aspetti della sua personalità sono ben più sfaccettati e affiorano presto, lasciando poco spazio alla speranza di qualcosa di buono. Basta ascoltare i suoi discorsi, gli interventi nelle riunioni di gruppo attorno al tavolo della cucina dei Vlassakis e le sue inquietanti visioni riguardo il farsi giustizia da soli per capire che Bunting è un folle psicopatico ipocrita. La sua avversione nei confronti di pedofili, gay, tossici e i diversi in generale è solo una scusa per giustificare la sua insana passione per la tortura e il desiderio malato di violenza per chiunque si trovi al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Daniel Henshall
Bunting riesce a trasformare la sua perversione splatter in un modus operandi condiviso e supportato anche da altri personaggi che stringono rapporti con lui. Crea la sua Manson family e in questa dimensione trasporta anche Jamie che, povero, confuso e quasi muto, perde cosi l’ultima vena di innocenza che gli era rimasta. È proprio il lento e inevitabile declino di Jamie dietro le tendenze selvagge di Bunting a far più male, e la sua trasformazione da testimone suscettibile a complice rassegnato degli orrendi delitti a creare una tensione soffocante da cui non si riesce più ad uscire.
Nel momento in cui il film raggiunge il suo culmine hai già accertato che nessun coraggioso detective di polizia o cavaliere in armatura splendente arriverà a salvarlo. La sensazione di totalmente ingiusto e sbagliato prende posto nell’anima e li resta. Ben oltre la fine del film.
Lontano dall’essere il solito thriller, Snowtown è un’abile e sfumata ricostruzione psicologica di come uno psicopatico sia riuscito a manipolare e a comandare la vita di altri individui rendendoli tutti suoi complici. Il punto centrale sono le emozioni dei suoi protagonisti e la sensazione soffocante della vita di provincia, dove la disperazione guida il corpo e la mente.
Gli elementi che rendono questo film veramente valido sono molti. Oltre alla grande originalità delle sua sceneggiatura, Snowtown ti prende soprattutto per le scelte stilistiche, per come è girato e montato. Kurzel mescola intelligentemente e con grande sensibilità visiva lo stile documentaristico della camera a spalla con asfissianti primi piani, abbinando una fotografia molto seducente ad una pulsante colonna sonora.
Le sequenze attorno al tavolo della cucina sono veramente notevoli soprattutto grazie alle interpretazioni di un cast di attori quasi tutti non professionisti.
Daniel Hanshall, che impersona il pazzo serial killer John Bunting è l’unico attore professionista, mentre Lucas Pittaway, il fragile e danneggiato Jamie, è al suo primo ruolo da protagonista. Entrambi sono un esempio di bravura, sostengono il film, arrivando dritti alle persone.
Nonostante il film soffra di momenti di confusione e alcune scene possano apparire un po’ forzate, il risultato finale è assolutamente convincente. Una pellicola che ti resta addosso anche dopo averla vista.
Carla Cuomo
Per visionare il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=fvu_tBQgZyI