Siamo disposti a mettere in gioco la nostra privacy per sentirci al sicuro? Ma soprattutto, al sicuro da chi? Nella società tecnologica i concetti di privacy e sicurezza assumono significati diversi, fino a entrare in conflitto. La privacy si ritrae davanti alla sicurezza. La stessa sicurezza, valicando i ‘limiti’ del privato, diventa un dispositivo di controllo. La paura più grande è: chi gestisce tutto questo, e perché?
Questi sono stati i temi della conferenza di Alberto Cammozzo, esperto di sicurezza informatica, intervenuto alla Settimana della Cultura del Collegio Don Nicola Mazza di Padova. Un approfondimento di grande attualità, articolato tra i recenti sviluppi del caso Snowden e il consolidato dispositivo di sicurezza attraverso cui gli Stati esercitano il controllo sulla popolazione.
Sicurezza al limite della privacy
Non c’è un confine netto tra privacy e sicurezza. C’è piuttosto un’architettura congegnata per attenuare la reazione della popolazione a una violazione della privacy che, in altro modo, non sarebbe tollerata. È interessante analizzare la semantica delle due parole.
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dall’inglese security/safety (= difesa da paure o minacce) e certainty (= assenza di dubbio); si articola attorno ai concetti di sorveglianza, segretezza, spionaggio, controllo sociale.
Implica la fiducia da parte del cittadino nell’autorità che garantisce la sicurezza, e la diffidenza dell’autorità di ciò che può rappresentare una minaccia.
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È un insieme di norme che regolano la circolazione e la rivelazione di informazioni in un dato contesto.
Il caso Snowden e il ruolo delle Agenzie di sicurezza
Le Agenzie di sicurezza hanno il compito di garantire, appunto, la sicurezza. Che lo facciano con lo spionaggio e violando sistematicamente il diritto alla privacy dei cittadini (con interventi tutt’altro che mirati alle sole potenziali minacce), è ciò che ha reso il caso Snowden così eccezionale. Tutte le Agenzie di sicurezza del mondo lo fanno – non solo la statunitense NSA. Ma forse è il fatto che cittadini ‘al di fuori di ogni sospetto’ come la Cancelliera Merkel, gli stessi commissari Onu fossero spiati, a inorridire l’opinione pubblica.
La domanda che ci si pone è: qual è il limite oltre il quale la necessità di sicurezza non può violare il diritto alla privacy? Qual è il limite oltre il quale la ‘sicurezza’ non può più giustificare scopi che nulla hanno a che fare con la sicurezza dei cittadini?
Già, perché la privacy dei cittadini viene messa in discussione su più livelli. Non parliamo solo della raccolta indiscriminata di dati raccolti dalla NSA. Parliamo di strategie che ci interessano in prima persona e che mirano a modificare le nostre abitudini di vita. Parliamo di social network e di marketing, che si serve delle preferenze degli utenti per modellare le strategie di vendita sull’interesse del singolo. Parliamo di teatro della sicurezza.
Il teatro della sicurezza
È un’interessante metafora citata dal dottor Cammozzo e ripresa da un’idea di Bruce Schneier, guru della sicurezza informatica.
When people are scared, they need something done that will make them feel safe, even if it doesn’t truly make them safer. Politicians naturally want to do something in response to crisis, even if that something doesn’t make any sense.
[…] some countermeasures provide the feeling of security instead of reality. These are nothing more than security theatre.
Our current response to terrorism is a form of “magical thinking”.
La risposta dell’autorità alla necessità di garantire sicurezza è un’illusione di dare sicurezza al cittadino. E quest’illusione, questa messinscena ben congegnata, basta al cittadino a farlo sentire sicuro, a lasciar invadere la sua privacy, anche senza un reale riscontro. Vi consiglio di approfondire l’argomento con un case-study sull’aeroporto, al confine tra sicurezza e privacy.
Lo trovate nelle *slides utilizzate dal dottor Cammozzo durante la conferenza. Con queste potrete farvi un’idea sicuramente più completa della sua ricostruzione, di cui questo articolo non è che una riflessione personale.