di Francesco Gori
Sport e sociologia sono due sistemi culturali differenti ma che alcuni autori hanno cercato di rendere meno distanti e più aperti al dialogo. “Lo sport del Novecento ha rappresentato un fenomeno socialmente ingombrante… la principale forma di intrattenimento per miliardi di spettatori… spettatori fisicamente, spesso fragorosamente presenti ai bordi di un campo e poi sterminato pubblico dei media… sviluppando processi d’identificazione e persino costruendo appartenenze socialmente significative… trovando in questa esperienza una risposta emozionalmente densa a bisogni che altre manifestazioni della vita sociale non riescono a soddisfare…” (Porro, ), Lineamenti di sociologia dello sport, 2001, p.11).
Ma in sociologia ci sono state grandi difficoltà nell’analizzare un fenomeno ritenuto puramente commerciale, legato agli umori della cultura di massa oppure come esperienza del tutto privata e di scarso interesse scientifico. Gli intellettuali si sono tenuti lontano dallo sport e, solo a tempo perso, hanno dato uno sguardo a quelli che considerano divertimenti puerili e privi d’ogni significato. Inoltre lo sport è ambiguo, non facilmente addomesticabile dalle tradizionali categorie analitiche delle scienze sociali, situandosi al crocevia di quelle dimensioni dicotomiche della vita sociale quali: lavoro/tempo libero, mente/corpo, sfera della serietà/ambito del divertimento, economico/non economico.
Parlando di sport e sociologia, c’è innanzitutto bisogno di definire cosa si intende per sociologia: ” è la scienza che studia, con propri metodi di indagine e tecniche di ricerca, i fondamenti, i fenomeni essenziali, i processi di strutturazione e destrutturazione, le manifestazioni tipiche della vita associata e le loro trasformazioni, i condizionamenti che i rapporti e le relazioni sociali esercitano sulla formazione e sull’azione degli individui e che gli individui esercitano su di loro, quali si ritrovano globalmente nella società e in ogni tipo di collettività, seppur di minor scala; mirando, come ogni altra scienza, a ricondurre la varietà degli eventi particolari ad un numero limitato di leggi o proposizioni generali collegate tra loro per mezzo di schemi esplicativi e teorie di vario raggio. Tuttavia, la sociologia non si riduce esclusivamente allo studio di ciò che è storicamente invariante, ossia a-storico, ma abbraccia pure tutti quei fenomeni che sebbene si siano costituiti ed evoluti nella storia – quali la famiglia, il lavoro, la politica – si evolvono e mutano con tempi estremamente più lenti di quelli considerati dalla storiografia” (Gallino, Dizionario di sociologia, 1978, p.635).
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Tra i fenomeni citati ha un posto anche lo sport, di cui abbiamo già parlato, traendone una definizione più precisa e sottolineandone, alcune peculiarità.
Risalgono agli ultimi anni, eccezion fatta per Soziologie des Sports di H.Risse (1921) e per Sociologia dello sport di G.Magnane (1964), le pubblicazioni più importanti in fatto di sociologia dello sport, dopo che i sociologi si sono accorti di quanto lo sport sia “una straordinaria lente del mutamento sociale, in quanto manifestazione espressiva, stile di vita, modello di comportamento, veicolo comunicativo, ideologia, passione popolare, tecnologia, chiacchiera quotidiana. Si tratta allora di approfondire l’intuizione di quei pionieri senza seguaci che, sulle orme di Marcel Mauss, si sono spinti a descriverlo come un fatto sociale totale, capace di mettere in luce la trama sotterranea che regola le relazioni collettive” (Porro, 2001, p.13).
La sociologia dello sport non è ancora una disciplina a sé stante, con una posizione definita, è piuttosto un’esigenza sentita che scaturisce dalle analisi frammentarie con cui viene affrontato questo fenomeno di massa. Tali analisi muovono da diversi punti di osservazione; ricordiamo vari approcci sociologici al problema sportivo: molte sono indagini che prendono le mosse da ipotesi di ricerca settoriali sia di tipo economico, storiografico (Huizinga, Homo ludens, 1955), cultural-elitistico (Ortega, 1957), pedagogico-filosofico (Neri, Volpicelli, 1960) o politico (Vinnai, Il calcio come ideologia, 1970).
Lo sport ed il tempo libero è il tema di fondo di Sociologia dello Sport di Magnane, in cui parla anche di loisir, ossia di quella “sorta di risposta ai bisogni umani oggi identificabili nel quadro del tempo disponibile, oltre, cioè, la soglia delle coazioni lavorative e degli obblighi sociali quotidiani” (Magnane, 1964, p.9).
Si tratta di rendersi conto che lo sport si inserisce a pieno titolo nel tempo libero, creandosi un suo spazio e ne va ancora sottolineata l’importanza come contrappeso, liberatorio, ricreativo e rigeneratore di logorii lavorativi. Inoltre “Lo sport non è importante solo in quanto esercizio; esso ha una notevole importanza anche in quanto spettacolo… Oltre le funzioni sociali che tradizionalmente si riconoscono allo spettacolo sportivo, come la capacità di liberazione dalle frustrazioni e dagli impulsi aggressivi, o come strumento di socializzazione, sta una funzione per nulla funzionale..Si tratta dello spettacolo sportivo in quanto spettacolo” (Magnane, 1964, pp.16-17). Con questo l’autore si riferisce non solo allo spettacolarismo commercializzato dell’industria ma anche a quel laboratorio di prove ed esperienze che è lo sport. A quel teatro di gesti, linguaggi e comportamenti che dà vita ad una serie di azioni disinteressate.
“… Trasmettere l’idea che lo sport e gli sport, lungi dall’essere attività banali il cui significato sociologico è incomparabilmente minore rispetto agli aspetti seri della vita economica e politica, formano invece un’area di considerevole significato sociale che almeno nella misura in cui i sociologi prendono per vera la pretesa che la loro disciplina è una scienza di realtà che affronta tutti gli aspetti sociali necessita di teorie e ricerche sociologiche applicate” (Roversi-Triani, Sociologia dello sport, 1995, p.6). Questo cerca di fare la sociologia dello sport. In concreto, i suoi principali temi di ricerca si possono schematizzare nel modo seguente (Gallino, 1978, pp.665):
a) Lo sport come professione: reclutamento, selezione, carriera degli atleti, dei tecnici e dei dirigenti sportivi; la socializzazione di giovani ed adulti alla pratica sportiva ed alla fruizione dello sport come spettacolo.
b) L’organizzazione sociale ed economica dello sport nella società di massa; la struttura e l’azione delle associazioni sportive; la posizione dello sport nella scuola; i meccanismi sociali del finanziamento pubblico e privato dello sport.
c) I rapporti tra sport e politica; tra lo sport e lo stato; l’utilizzazione della pratica sportiva e dei suoi risultati a fini di organizzazione del consenso interno e di propaganda esterna; lo sport come componente di un’ideologia.
d) Il linguaggio, la simbologia, la subcultura dello sport, sia dal lato dei praticanti che dal lato degli spettatori; lo sport come cultura popolare; la rappresentazione e la manipolazione degli eventi sportivi da parte dei mezzi di comunicazione di massa; la loro funzione nel diffondere la subcultura e l’ideologia.
e) Le forme di comportamento collettivo attivate dallo sport; la composizione per classe sociale, età, sesso del pubblico degli spettacoli sportivi; i comportamenti individuali, di gruppo e di massa che emergono tra coloro che assistono ad una competizione, sia di persona sia attraverso i mass media; la fenomenologia del divismo dei due lati – i divi ed i loro fans.
f) La stratificazione sociale esistente tra coloro che praticano uno sport per professione; le disuguaglianze sociali nell’assegnazione dei ruoli in squadra, nella carriera, nell’accesso ai mezzi di comunicazione di massa, nei compensi, nell’avviamento a determinati sport, quali si osservano tra i membri di differenti razze e gruppi etnici, tra uomini e donne, tra gli appartenenti a differenti gruppi religiosi, tra atleti identificati con l’una o l’altra parte politica.
g) La dinamica di gruppo entro le formazioni sportive di ogni tipo: team di corridori automobilistici, équipe di ciclisti, squadre di calcio, di tennis, di scherma, di pallacanestro…prima, durante e dopo una competizione. Per questo tipo di analisi la sociologia dello sport si avvale anche dell’apporto della sociometria.
h) I rapporti tra lo sport come pratica e come spettacolo ed il tempo libero; tra lo sport, il lavoro svolto e la posizione nella professione; tra lo sport e gli stadi della vita; tra i tipi di sport preferiti come pratica e come spettacolo e lo strato sociale di appartenenza; l’atteggiamento verso lo sport delle diverse generazioni compresenti in una società.
Vediamo quando ha cominciato a svilupparsi la sociologia dello sport e quello che è avvenuto in seguito. Si comincia a parlare di essa dopo gli anni Sessanta: a quell’epoca Theodor Adorno diceva che “ancora non esiste una penetrante sociologia dello sport, e in particolare degli spettatori sportivi” (Adorno, 1974, p.89). È un decennio che segna la cesura tra due epoche: la prima, delle prime Olimpiadi moderne, in cui lo sport è oggetto di riflessioni episodiche da parte degli intellettuali; la seconda, dalle Olimpiadi di Roma (1960) in poi, in cui i valori rituali e commemorativi lasciano il posto a quelli spettacolari ed efficientistici, con la presa d’atto della necessità di un approccio scientifico al tema. Soprattutto, da una valutazione positiva del fenomeno ad inizio secolo, molti osservatori passano ad un’altra di tipo conflittuale, ponendo l’accento sui criteri profit oriented. Adorno dà un giudizio simile, negativo, in linea con Thorstein Veblen ed il suo La teoria della classe agiata, prima messa in stato d’accusa dello sport nel 1899, anni in cui la pratica sportiva è ancora prerogativa dei ceti privilegiati ma nei quali si sviluppa l’attenzione popolare. Infatti, “quelle stesse masse che, fino a poco tempo prima non erano pubblico di niente, ora, disinteressate verso tutto ciò che è drammatismo spirituale – arte, lettere, scienza, religione, politica – corrono invece ad affollare gli stadi…” (Ortega y Gasset, 1957, pp. 607-623). Anche da questa affermazione si può ricavare una connotazione negativa che vede nella civilizzazione sportiva un fenomeno sospetto ed espressione di una modernità regrediente. Tutto ciò è confermato anche dalle affermazioni di Karl Mannheim, per il quale lo sport è parte delle tecniche usate dagli stati dittatoriali “per distogliere l’opinione pubblica” (Mannheim, 1959, p.327), e di Lewis Mumford: “lo sport, nato come dramma, diventa ora esibizione” (Mumford, 1968, p.314). Quest’ultimo evidenzia la necessità del successo ad ogni costo, in opposizione ai principi decoubertiani dell’” importante non è vincere, ma partecipare.”
A partire dagli anni Sessanta, i primi significativi contributi ad un’analisi sociologica del fenomeno sportivo provengono dalle scuole di pensiero dei paesi dell’Est. Dopo il periodo staliniano infatti, la sociologia torna ad assumere importanza, associata a quella del lavoro. Lo sport è posto al servizio della produttività ma ciò nonostante si formano impianti teorici per il superamento di concezioni neutralistiche del fenomeno. E’ evidente come ad un certo punto lo sport diventi metafora dello scontro tra le due superpotenze del momento (Usa ed Urss) e che la sua accresciuta importanza politica ed economica costringa gli analisti sociali a fare i conti con esso ed a studiarlo. Numerosi i contributi dalla Francia, dalla Repubblica Federale Tedesca, dagli Stati Uniti e solo in parte dall’Italia. In Francia l’istituzione sportiva è sotto accusa in quanto vista come strumento di alienazione delle coscienze, ciò che la religione era per Marx, ossia l’oppio dei popoli. Una serrata critica proviene anche dalla Germania Federale, i più famosi critici B.Rigauer e G.Vinnai vedono lo sport come un’istituzione che rafforza la legittimità del sistema con comportamenti conformi alle aspettative generali. In Italia permane lo storico fastidio per il corpo ed i giochi che caratterizzano la cultura d’ispirazione cattolica e marxista e si notano solo Luigi Volpicelli ed il suo Sport e Industrialismo (1960), due saggi di A.Ardigò e le note di U.Eco su “La chiacchiera sportiva”. Radicale anche la critica americana ma ciò che interessa sottolineare sono gli sviluppi della disciplina: “un gran numero di scritti sullo sport si è accumulato negli ultimi anni, tanto che la sociologia dello sport si è rafforzata a tal punto da diventare uno dei settori…delle scienze sociali” (Roversi-Triani, 1995, p.19). Questo avviene negli anni Settanta e successivamente, con la comparsa di lavori assai diversi da parte, ad esempio, di Pierre Bourdieu (1978) sui rapporti tra appartenenze sociali e pratiche sportive, di Eric Dunning e Norbert Elias (1986) sullo sport e di Ian Taylor (1993) sul teppismo calcistico. Conosciamo ormai i motivi per cui la sociologia ha tardato così a lungo ad occuparsi di tutto ciò, si sono preferiti gli aspetti “seri e razionali” della vita allo sport, percepito come un’attività banale ed orientata al divertimento. Ma quando finalmente si è superata questa concezione, ecco che la situazione è cambiata. Negli anni Ottanta e Novanta l’interesse per l’argomento si è sempre più diffuso e si sono sviluppati numerosi studi e ricerche.
Attualmente, questi sono i tre campi di ricerca più importanti della sociologia dello sport (logicamente tendono a sovrapporsi):
1) il primo riguarda lo sport inteso come fenomeno culturale;
2) il secondo si focalizza sul rapporto tra sport e televisione;
3) il terzo ha a che fare con l‘analisi del pubblico sportivo.
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Estratto del testo “Tra sport e sociologia: i rituali del tifo organizzato nel calcio in Italia e Spagna”, tesi scaricabile qua
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