Le giunte precedenti hanno permesso che le case di proprietà del Comune fossero affittate per quattro soldi. Locali di pregio e posizioni centrali in saldo, al prezzo dello sgabuzzino di un qualsiasi quartiere dormitorio delle nostre città. Il menefrego politico è palese: venti euro al mese con vista sul cupolone, centocinquanta in via dei Parioli e così via. Per non parlare dell’enorme buco creato dagli eterni “morosi” o dagli abusivi che, sfratto sì o sfratto no, in quelle case hanno piantato radici. Gratis. Il buon padre di famiglia avrebbe scatenato l’inferno cercando di fare gli interessi della “famiglia”. Fatto sloggiare a pedate i prepotenti, ristrutturato gli immobili per poi offrire gli alloggi a prezzi di mercato incassando il giusto, e cioè fior fior di milioni pronti a rimpinguare il conto perennemente in rosso del Comune di Roma, meglio conosciuto come strapiombo, cratere o il buco più vuoto e più profondo creato dall’uomo e non dalla natura. Ed oggi, ecco che al Sindaco Marino, autoelettosi economista per eccellenza, parte un’idea che ci fa scendere lacrime di rabbia miste ad impotenza. Svendere le “nostre” abitazioni scontandole del trenta percento, magari agli stessi parassiti che finora ci hanno derubato facendoci una questua sulla pigione o neanche quella. Cambierebbe la solfa se le case fossero intestate al “buon padre di famiglia Signor Marino, Signor Montagna o Signor Collina”. Che mi si scanni ora, che mi si porti subito al patibolo, ma ciò che penso equivale a certezza e verità. Affermo che “Loro” si sarebbe attivati in maniera differente se la “cosa” rientrasse nel portafoglio immobiliare del singolo e non della comunità. Ribadisco con convinzione che i “Padroni” esigerebbero affitti di mercato, senza svendere le proprietà di famiglia per quattro cocomeri e un peperone. Dobbiamo pretendere un’amministrazione sana e laboriosa che faccia i “nostri” interessi e si attivi per far fruttare i “nostri” averi. Ce ne devono dar conto, devono essere rigorosi e sudare per star lì dove sono, devono essere degni di rappresentarci invece di comportarsi da allegri farlocchi. Il patrimonio artistico dell’Italia non è mai stato sfruttato a dovere. La nostra miniera d’oro, il tesoro di Alì Babà che avrebbe potuto salvarci dalla crisi, è pateticamente gestito da smidollati a “nostro” servizio che cincischiano, sottovalutano, dormono e se ne fregano. Patetici omuncoli pronti ad alzare bandiera bianca in segno di fallimento. Piagnoni, profumatamente pagati coi nostri soldi, pronti a chiedere l’intervento dei privati per amministrare ciò che loro non sono stati in grado di fare. Quando avranno svenduto tutte le case o gli immobili di proprietà del Comune, e poi dello Stato, si accorgeranno delle casse tornate vuote come le loro zucche. Quindi, procederanno coi monumenti e gli edifici storici, fino al baratto dell’ultimo sanpietrino in cambio del più misero Sesterzio.
Le giunte precedenti hanno permesso che le case di proprietà del Comune fossero affittate per quattro soldi. Locali di pregio e posizioni centrali in saldo, al prezzo dello sgabuzzino di un qualsiasi quartiere dormitorio delle nostre città. Il menefrego politico è palese: venti euro al mese con vista sul cupolone, centocinquanta in via dei Parioli e così via. Per non parlare dell’enorme buco creato dagli eterni “morosi” o dagli abusivi che, sfratto sì o sfratto no, in quelle case hanno piantato radici. Gratis. Il buon padre di famiglia avrebbe scatenato l’inferno cercando di fare gli interessi della “famiglia”. Fatto sloggiare a pedate i prepotenti, ristrutturato gli immobili per poi offrire gli alloggi a prezzi di mercato incassando il giusto, e cioè fior fior di milioni pronti a rimpinguare il conto perennemente in rosso del Comune di Roma, meglio conosciuto come strapiombo, cratere o il buco più vuoto e più profondo creato dall’uomo e non dalla natura. Ed oggi, ecco che al Sindaco Marino, autoelettosi economista per eccellenza, parte un’idea che ci fa scendere lacrime di rabbia miste ad impotenza. Svendere le “nostre” abitazioni scontandole del trenta percento, magari agli stessi parassiti che finora ci hanno derubato facendoci una questua sulla pigione o neanche quella. Cambierebbe la solfa se le case fossero intestate al “buon padre di famiglia Signor Marino, Signor Montagna o Signor Collina”. Che mi si scanni ora, che mi si porti subito al patibolo, ma ciò che penso equivale a certezza e verità. Affermo che “Loro” si sarebbe attivati in maniera differente se la “cosa” rientrasse nel portafoglio immobiliare del singolo e non della comunità. Ribadisco con convinzione che i “Padroni” esigerebbero affitti di mercato, senza svendere le proprietà di famiglia per quattro cocomeri e un peperone. Dobbiamo pretendere un’amministrazione sana e laboriosa che faccia i “nostri” interessi e si attivi per far fruttare i “nostri” averi. Ce ne devono dar conto, devono essere rigorosi e sudare per star lì dove sono, devono essere degni di rappresentarci invece di comportarsi da allegri farlocchi. Il patrimonio artistico dell’Italia non è mai stato sfruttato a dovere. La nostra miniera d’oro, il tesoro di Alì Babà che avrebbe potuto salvarci dalla crisi, è pateticamente gestito da smidollati a “nostro” servizio che cincischiano, sottovalutano, dormono e se ne fregano. Patetici omuncoli pronti ad alzare bandiera bianca in segno di fallimento. Piagnoni, profumatamente pagati coi nostri soldi, pronti a chiedere l’intervento dei privati per amministrare ciò che loro non sono stati in grado di fare. Quando avranno svenduto tutte le case o gli immobili di proprietà del Comune, e poi dello Stato, si accorgeranno delle casse tornate vuote come le loro zucche. Quindi, procederanno coi monumenti e gli edifici storici, fino al baratto dell’ultimo sanpietrino in cambio del più misero Sesterzio.
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