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Tuttavia, come osservò giustamente SPB, questo stato d'animo "implica accettare di dipendere da qualcuno e che qualcuno dipenda da te, accettare di influenzare e di essere influenzato, accettare di subire le conseguenze di un'azione altrui e di essere causa di conseguenze per altri. Implica, in una parola, la presa di coscienza che non sei solo, nel bene e nel male. E che ciò che fai si riflette, modifica, interagisce con il resto." E questo - ribadisco io - corrisponde in maniera prepotente a una visione olistica che dovremmo avere non solo rispetto all'universo in termini fisici, ma anche alla società in cui gli individui vivono e alle sue componenti in relazione tra loro.
"Ma qual è", continua SPB, "la spinta che ti può portare ad accettare, a cercare, a perseguire il bene tuo e CONTEMPORANEAMENTE quello dell'altro? A non muoverti solo per il tuo, di risultato, ma a muoverti per una condivisione, affinché - e nella misura in cui - il risultato sia utile a te e pure all'altro?" Di sicuro la risposta alla domanda in questione può valere, da sola, l'intero futuro dell'umanità.
E Fulvio the Cat in qualche modo ha provato a dare una risposta quando qualche giorno dopo ha detto: "Ma non sarà che la coscienza civile, e in generale la consapevolezza che 'siamo tutti sulla stessa barca', e quindi la solidarietà e la collaborazione alla lunga danno risultati migliori dell'individualismo, sono un meme positivo che si propaga per contatto, soprattutto sociale? Voglio dire: la televisione ci allontana, promuove l'individualismo e il meme tossico del primeggiare a tutti i costi. La rinascita delle comunità, reali o virtuali, dovrebbe essere una sorta di antidoto."
E si vede che Fulvio è un ottimista. D'altro canto, se siete pessimisti, potreste pensare di rispondere: "Nessuna, non esiste". Oppure se siete giusto un po' meno pessimisti, potreste azzardare un: "Solo una crisi di proporzioni tali da promuovere la maturazione di una forte istanza condivisa che, messa in pratica in termini di solidarietà, possa consentirci, in qualche modo, di salvarci". Quello che voglio invece osservare io, a proposito di questo cambio di mentalità che oggi risulta comunque necessario intraprendere, ma prima ancora, interiorizzare (e anche il più velocemente possibile) e che è emerso, a parer mio, tra le righe delle considerazioni fatte, è questo: ma è proprio necessario vedersi interdipendenti per salvarsi il futuro?
In altre parole, invece di cambiare (stravolgere) la "prospettiva relazionale", che a parer mio è molto difficile, non potrebbe forse essere sufficiente il cambio della "prospettiva temporale"? Voglio dire, non potrebbe essere sufficiente pensare che gli effetti delle decisioni di stamane avranno effetto non solo sulla nostra vita di stasera e di domani, ma anche su quella del prossimo anno o dei prossimi dieci, venti, cinquant'anni? Perché spesso sento sbandierare la retorica su quale accidenti di mondo lasceremo ai nostri figli o ai nostri nipoti. Eppure a me pare che l'Uomo non riesca nemmeno a fare delle scelte a beneficio del mondo che verrà, per lui stesso, tra soli sei mesi. L'Uomo, invece, pensa (sempre e solo) all'adesso, forse perché è l'unica cosa che - davvero - esiste, visto che il passato ormai non c'è più e il futuro ancora non c'è stato. Ma finché sarà così, nessun cambiamento (consapevole e voluto) sarà mai possibile. Nessuna rivoluzione (pacifica) potrà mai essere intrapresa.
/fine (per ora)
[Credit: il quadro in alto è di Elena Puca]
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