Poi ci sono i rumori, quei rumori sommessi che ti inquietano. Tu che non ci sei, e rendi tutto ciò ancora più temibile. Solo quando sei vicino sento che il tuo bacio sul mio lobo è il tuo modo per ravvivare la mia sicurezza, quel brivido lungo la schiena l'antidoto contro ogni timore.
Ma è quando non ci sei che i pensieri gozzovigliano lussuriosamente tra loro, per poi vomitarti addosso tutto ciò che tu chiami paura; nasce non si sa dove, la senti fin nelle viscere, attraversa le autostrade del tuo profondo e si sfoga; piangi, il dolore allaga il viso e lascia una pozzanghera di niente.
Ti accorgi che è finita quando i lampi in lontananza non sono seguiti dal rombo immediato, la pioggia non scroscia violenta. Arrivano e passano repentini, il tempo di uno sbarluccicare sommesso. Il tempo di non farti dormire, pensando che quest'anno l'estate, la sua fine, ha portato con sé, altrettanto repentinamente, la luce bonaria del tramonto, sommessa e sottotono, ma così godibile, in certi spazi ampi di piazza, quando sorseggi un thé e ti senti più indulgente con te stessa, con quella canzone di sottofondo che è adatta, perché è con i piedi per terra, rilassata come te. Così tranquilla e quasi rassegnata.
Ma nemmeno il tempo di alzare lo sguardo, e via, andato. Ti anestetizzi di tutto per non sentire il niente attorno perché, quest'anno, è così. immagini soltanto quella luce e ti illudi di respirarla solo stando alla finestra a guardare il cielo. E l’aria appena tiepida ti accarezza la pelle non più appiccicosa dall’umidità. Almeno, se mi devi accarezzare anche tu, sarò liscia; ma è una magra consolazione.
Ma certe altri immagini sono anestetizzate già da un po’, troppo tempo, perciò si passa oltre, sono ricordi che bruciano vivi, che sono tutti avvenuti in questa stagione non più di mezzo, ma nemmeno così nuova, sono echi lontani di concerti di Carmen Consoli, di cinema da sola chiedendomi perché accanto a me non c’è quella determinata persona, sono momenti in macchina con un’amica a cercare parcheggio in un tortuoso percorso accidentato, ma divertendoci come pazze, ridendo di chi non c’è, e di quello che arriverà. E così si ritorna sui rumori, sulle macchine in lontananza, che sembrano scie di assoluto che attraversano per il tempo di un secondo la tua vita.
E' l'immobilità assorta della gente assopita, nessuna luce, nemmeno la più fioca, si intravede nel palazzo di fronte; solo qualche rumore sommesso delle foglie ti fa capire che la vita pulsa anche in un alito di vento. Che ora è forte, bisogna accostare le finestre, così non si può dormire.
Ma sono ancora qui, viva e recettiva, aspetto l'autunno, lo accoglierò.
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